L'analisi

Merkel sconfitta, il cuore e la paura

14 marzo 2016
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“Il giorno dell’orrore per Angela Merkel”, titolava un giornale tedesco pochi minuti dopo le prime proiezioni della “super-domenica”, il voto regionale in tre Länder, con 13 milioni di elettori chiamati alle urne, e una delle più alte partecipazioni nella storia elettorale dei 25 anni della Repubblica federale riunificata. Titolo e giudizio catastrofico, troppo sbrigativo, probabilmente eccessivo per definire l’esito della consultazione, e lo stato d’animo di “Mutti”, di “mamma” Merkel, che sapeva di affrontare il test, di valore politico nazionale, sicuramente più difficile nei suoi lunghi anni di potere. Una convinzione ardua da difendere sul tema difficilissimo dell’immigrazione, tema in grado di contribuire allo scardinamento della stessa Unione europea. E che la Merkel, guidata dall’etica della convinzione rispetto alla politica dell’opportunità, ha dovuto affrontare quasi in solitudine.
Vola dunque la destra estrema, anti-immigrazione, anti-euro, e striata anche di neonazismo: in tutte e tre le regioni ottiene infatti risultati a due cifre, superando addirittura il 20 per cento nella Sassonia-Anhalt, ex Ddr, l’ex Germania sovietizzata, dove da tempo l’estremismo nazionalista ha attecchito più che nel resto del Paese: negli scorsi anni a causa dell’insoddisfazione e della precarietà sociale; oggi per effetto dei timori innescati dall’arrivo, in pochi mesi, di un milione di migranti.
Un exploit, quello della destra radicale ‘Alternative für Deutschland’, che è innegabilmente un voto-sanzione contro la politica delle “porte aperte”, coraggiosamente decisa da Angela Merkel, e in tanti comizi sostanzialmente mantenuta con coerenza anche di fronte alla prevedibilissima tempesta elettorale, che ieri non ha certo completamente devastato il panorama politico, ma che ha senz’altro provocato un sisma dalle conseguenze ancora tutte da valutare e verificare. Se si aggiungono i relativi successi dei Verdi, della Linke (sinistra radicale) e dei liberali riemersi dopo le ultime débâcle, il quadro si complica, introducendo elementi di potenziale instabilità poco familiare nella vita politica della Germania.
Inevitabilmente il risultato scuote anche la Grosse Koalition, faticosamente formata e portata avanti dopo le ultime elezioni federali, fragile co-abitazione che ha affrontato l’appuntamento di ieri fra divisioni e contraddizioni, che sicuramente hanno pesato su un esito che – da destra a sinistra – ha anche caratteristiche anti-establish­ment. L’Spd sfiora il tracollo. Mentre per quanto concerne la Cdu, che deve leccarsi una ferita profonda, la sguaiata frattura tra sostenitori e oppositori sul tema dell’immigrazione ha disorientato e allontanato una parte del suo tradizionale elettorato.
S’era detto che questa consultazione regionale si sarebbe trasformata in un referendum sulla cancelliera, “un politico che ha un cuore ma non un piano”, l’ha bollata il suo predecessore socialdemocratico Schroeder. In parte così è stato. E tuttavia, in una giornata che non può non interrogare l’intera Europa sulla sua incapacità di elaborare una politica condivisa su un problema epocale – va ricordato che secondo tutti i sondaggi Angela Merkel rimane pur sempre il leader tedesco più popolare, con un tasso superiore al cinquanta per cento. Non una contraddizione, ma la riprova che “Mutti” vanta ancora un capitale politico da spendere e investire in un futuro certo assai più problematico.

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