L'analisi

Il ‘tricket’ blindato dell’Udc e il fantomatico ‘candidato selvaggio’

5 dicembre 2015
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Gobbi a Palazzo federale, a stringere mani a destra e a manca; la sua stazza che si palesa di buon’ora in una brumosa Bundesgasse, prima di infilarsi al Bernerhof (sede del Dipartimento federale delle finanze); o “abends in Berner Bars unterwegs” (‘Nzz’), in giro la sera per i bar di Berna. Aeschi di corsa (gli hanno affibbiato il nomignolo ‘Ritalin’), telefonino sempre in mano: passa da un’intervista all’altra, cerca di evitarne quante può; in tv è con la sua mucca, una ‘vache d’Hérens’ di nome ‘Lulu’, che vive nella fattoria di Toni Brunner, in Appenzello (lui le fa visita una, due volte al mese). Parmelin e il suo ‘franglais’ – un “inglese che era francese” (Philipp Müller, presidente del Plr, dopo le audizioni di martedì) – e non perfettamente a suo agio neppure col tedesco.
Gobbi, Aeschi, Parmelin: mancano quattro giorni all’elezione del successore di Eveline Widmer-Schlumpf in Consiglio federale, e nessuno dei tre candidati ufficiali dell’Udc è chiaramente favorito. Gobbi ha certo il portamento dell’uomo di Stato. Vanta un’esperienza di esecutivo che agli altri manca (ma mancava anche a Doris Leuthard o ad Alain Berset, ad esempio). Poi il Ticino a Berna di questi tempi tira simpatia.
Non la Lega, però (il ‘Mattino’ lo conoscono anche nella capitale): e il leventinese fino all’altro ieri era leghista e basta. Il rampante Aeschi ha un curriculum che impressiona. Politica finanziaria, fiscalità: sa di cosa parla, e tutti glielo riconoscono. Ma l’uomo dietro il politico lanciato come un missile verso i vertici dello Stato resta impalpabile: gli si rinfaccia di avere ‘scarsa esperienza della vita reale’. Parmelin dice che si è spostato a destra. Sembra però il più aperto al compromesso, il meno fedele alla linea (dura) del partito. Potrebbe racimolare parecchi voti a sinistra e al centro.
Mercoledì la partita dovrebbe giocarsi fra questi tre. Oggi come oggi non si vede chi potrebbe calarsi nei panni del quarto incomodo. L’ipotesi è riemersa in questi giorni. ‘Trombato’ eccellente e da alcuni indicato come possibile ‘quarto uomo’, il grigionese Heinz Brand – in risposta a speculazioni circolate sui media – ha subito confermato “definitivamente di non essere più a disposizione quale candidato al Consiglio federale”. Il presidente dell’Udc Toni Brunner si è lamentato del fatto che quasi ogni giorno suoi parlamentari gli riferiscono di essere stati abbordati da socialisti a caccia di ‘Sprengkandidaten’. Il suo omologo del Ps Christian Levrat gli ha risposto che nell’Udc “si è paranoici” e che, invece, due politici democentristi lo hanno contattato per dirgli che avrebbero accettato un’elezione anche contro la volontà del partito.
Schermaglie. Il ‘tricket’ appare blindato: i ‘papabili’ che ne sono rimasti fuori, se accetteranno un’eventuale elezione, saranno automaticamente espulsi dal partito in virtù di una clausola inserita negli statuti; e siccome si sono pure impegnati per iscritto a non assumere la carica da ‘Sprengkandidat’ (‘candidato selvaggio’), se agissero altrimenti la
loro credibilità di neo consiglieri fede-rali risulterebbe intaccata in partenza.
Ma non c’è solo questo. Una parte dei parlamentari socialisti e ‘verdi’ gioca ancora con l’idea. Il loro problema è che il Ppd sin qui non ha dato segnali apparenti di voler collaborare. Idem Pbd e Verdi liberali. Tutti loro, e ancor più il Plr (l’unico partito a dire chiaro e tondo di voler scegliere dal ticket ufficiale), sembrano non aver voglia di ‘giochetti’: per non inimicarsi l’Udc già in avvio di legislatura, per tornare alla ‘normalità’ dopo la parentesi Widmer-Schlumpf, e non da ultimo per tenersi buone le persone che contano nel primo partito svizzero in vista dei non lontani ritiri di Doris Leuthard e Johann Schneider-Ammann.
‘Mille variabili in gioco’
Tutt’al più – la tesi è stata formulata ieri dalla ‘Nzz’ – alcune figure di spicco dell’Udc escluse dal ‘tricket’ (gli sciaffusani Thomas Hurter e Hannes Germann, ad esempio) potrebbero ricevere nei primi turni molti voti ‘di protesta’ contro l’Udc per la ‘clausola d’esclusione’ che limita di fatto la libertà di scelta del parlamento. Lo stesso ‘senatore’ Hannes Germann – ipotetico ‘Sprengkandidat’ ideale – ha definito ieri “un gioco combinato” la scelta dei tre candidati ufficiali e criticato in particolare la nomina del leghista Gobbi (cfr. pagina 10). A suo avviso, la sua candidatura e quella di Hurter non erano ben viste dai vertici del partito e il gruppo Udc ha scelto persone “assolutamente fedeli alla linea del partito”.
Simpatie, ambizioni personali, parole d’ordine dei gruppi (più o meno rispettate), strategie partitiche a medio termine, interessi regionali: nell’elezione del Consiglio federale – lo abbiamo imparato negli ultimi vent’anni – si mischia tutto questo e altro. «C’è tutto ciò che si dice, che si vede, e poi tutto quel che non si dice, che non si vuol dire. Mille variabili sono in gioco», afferma Guy Parmelin nell’intervista in pagina. Fino all’ultimo, nulla è sicuro. E il voto è segreto.

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