L'analisi

La ‘verità’ sul massacro nelle mani di Erdogan

12 ottobre 2015
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Alle tv turche è stato proibito trasmettere le immagini del massacro di Ankara, mentre il governo ha annunciato tre giorni di lutto nazionale. Alla popolazione si chiede di partecipare al cordoglio della nazione per la strage della quale, tuttavia, non può (teoricamente) vedere se non quello che decide un regime che nella sua deriva censoria ha già messo le briglie alla libera informazione e alla rete dei social media. Il divieto non ha impedito le successive proteste antigovernative. Ma si tratta delle contraddizioni di un potere che oggi paga con questa carneficina senza precedenti le ambiguità di Recep Tay-yip Erdogan, il “neo-sultano” che sogna un potere quasi assoluto e che ama giocare col fuoco. Nel terribile groviglio interno e internazionale in cui Erdogan ha ormai infilato la Turchia, non è semplice individuare i responsabili della mattanza. Certo, le modalità dell’attacco alla manifestazione curdo-pacifista, la scelta (sembra) di due kamikaze che si fanno esplodere nelle viscere del corteo animato soprattutto dai giovani, la ricerca del massimo numero di vittime, evocano uno scenario da guerra vicino-orientale, di una piazza irachena, siriana o libica. Segue a pagina 4 E del resto va pur presa in considerazione l'ipotesi di una rappresaglia dello Stato islamico per la decisione turca di partecipare alla coalizione pro-occidentale contro il Califfato dopo anni di sfacciato doppiogiochismo turco. Eppure, anche in altri recenti attentati anti-curdi (Dyarbakir, Surut) la stessa ipotesi di uno sconfinamento della sanguinosa vendetta jihaddista aveva suscitato non pochi dubbi. E' certo invece che per vincere le imminenti elezioni parlamentari (1.novembre) Erdogan ha puntato tutto su una strategia della tensione interna che é difficile non collocare come sfondo dell'ultimo orrore su Ankara Gazi, la piazza antistante la stazione della capitale. Sconfitto nel voto dello scorso giugno in particolare grazie allo storico successo del partito curdo-socialista HDP (entrato per la prima volta in parlamento col 13 per cento dei suffragi), il "sultano" senza maggioranza ha immediatamente deciso un nuovo ricorso alle urne e criminalizzato i dirigenti democratici dell'HDP associandoli al terrorismo. Il tutto "corroborato" dalla decisione di rompere la tregua e di riprendere unilateralmente gli attacchi contro i santuari del PKK in Irak. Ha dunque puntato, Erdogan, all'esasperazione di un patriottismo, di un furibondo nazionalismo su cui costruire la propria rivincita, il trionfo finora mancato, cioé la possibilità di imporre un sistema presidenziale e diventare un "novello Atatürk". A tutto questo fa riferimento il leader dell'HDP, Selehattian Demirtas, giovane avvocato difensore dei diritti umani, quando denuncia "uno Stato serial-killer", guidato da chi ha voluto un'escalation ani-curda che può aver ispirato l'estremismo nazionalista. E' ora possibile che le "bombe umane" di Ankara mobilitino alle urne i sostenitori di Demirtas, affossando indirettamente anche i calcoli e le ambizioni di Erdogan. Ma "l'incendiario" turco, che controlla l'intero apparato statale, non si arrenderà facilmente. Mentre la tacita complicità dell'Occidente - bisognoso di un Erdogan che fa comodo anche per arginare il flusso migratorio dei rifugiati - diventa ancor più intollerabile di fronte alle tante vite brutalmente falciate in una Turchia sull'orlo del baratro

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