L'analisi

Putin rilancia ma rischia

3 ottobre 2015
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Un’altra guerra gravida di rischi enormi. Vladimir Putin si è tuffato giovedì scorso nel ginepraio mediorientale. Il gelido e pragmatico presidente russo ha fatto bene i conti o si tratta di un rilancio azzardato? Gli aspetti da considerare sono disparati: da quello economico a quello della sicurezza interna; da quello militare a quello politico-religioso.
L’economia russa vive un periodo complesso e subisce il fallimento del modello di sviluppo seguito dagli inizi del secolo. La pioggia di proventi, generati dalla vendita delle materie prime, si sta estinguendo facendo emergere scogli inaggirabili da due decenni.
Per superare questa crisi strutturale il Cremlino ha deciso di ricorrere alla retorica patriottica, vero collante del Paese. I forzieri sono ancora pieni di dollari, ma questi potrebbero finire presto se non vi sarà un rapido allentamento delle sanzioni occidentali. Senza i capitali europei e americani si è destinati a recitare un ruolo secondario nel mondo o addirittura andare in bancarotta.
Pertanto il tempo delle decisioni impopolari si avvicina velocemente. Alzare le tasse, elevare l’età pensionabile e ridurre il peso del corrotto Stato assistenziale sono scelte inderogabili e nessun bombardamento in Siria le renderà più digeribili. E poi, dove troverà Putin i soldi per la nuova guerra, non è chiaro.
Colpire gli estremisti fuori dai confini patri significa tornare ad essere un bersaglio rilevante dell’internazionale del terrore, come negli anni Novanta, quando si succedevano gli attentati da una parte all’altra della Russia. I servizi di sicurezza hanno preparato filtri, collaudati in Caucaso, ma il sangue potrebbe scorrere ugualmente non solo in casa propria ma anche in Asia centrale. La popolazione è disposta a ripiombare nella paura provata a lungo più di un quindicennio fa?
Come dimostrato in passato, i raid aerei in Medio Oriente sono poco effettivi senza un’azione terrestre coordinata. La portata dell’operazione russa è per ragioni logistiche limitata. Cosa pensa di fare Putin di diverso dagli altri? Una fotografia a Palmira liberata dagli incivili che distruggono uno dei patrimoni dell’umanità? Ecco, quindi, che l’attuale operazione federale in Siria appare finora più che altro mediatica e con scopi diversi da quelli limitati all’area mediorientale.
Occupare mezza Ucraina fino a Kiev o abbattere lo Stato islamico, impiegando 50-100mila suoi uomini, è per Mosca possibile. Il problema, come ha provato la tragedia afghana sia ai sovietici che agli occidentali, è gestire un impossibile dopoguerra. Una tale azione, però, servirebbe indirettamente a levare pressione estremista dai confini meridionali dell’ex Urss.
Mosca si schiera ora apertamente con gli sciiti (iraniani, alawiti, hezbollah, tagichi) contro gli interessi sunniti (sauditi in primis, in parte occidentali) in una regione in cui tutti combattono contro tutti, cambiando spesso bandiera, senza una logica di lungo respiro.
L’unica sorpresa potrebbe essere rappresentata da un’azione terrestre contemporanea vincente di tutte le forze sciite locali, sostenute dall’aviazione di Mosca. Allora la figuraccia occidentale sarebbe di proporzioni galattiche. Ma per ora, quello siriano sembra l’ennesimo rilancio di Putin. Il problema è che, prima o poi, bisogna mostrare le carte che si hanno in mano.

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