L'analisi

Alle urne l’esasperazione dei greci

19 settembre 2015
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Paura. Speranza. Rabbia. Esasperazione. Sono le quattro parole che servono per raccontare la saga greca, il dramma della prima democrazia dell’eurozona ad aver dovuto sopravvivere alla bancarotta.

Paura: quella che ha dominato le elezioni del 2012, quando nella maggioranza dei cittadini vi era il timore di perdere le conquiste della Grecia moderna. Per questo preferirono i vecchi schieramenti politici a Syriza, partito solido ma senza esperienza.

Speranza: quella delle elezioni del gennaio scorso. Provati da quattro anni di sfiancante austerità, gli elettori hanno ritenuto che fosse il momento per tentare qualcosa di nuovo, qualcosa di radicale. Sentendosi sicuri per via dei risultati finanziari del Paese – la Grecia aveva appena conseguito un avanzo primario e gli indicatori dell’ultimo semestre del 2014 mostravano una crescita economica – i cittadini ellenici hanno optato per il programma anti-austerità. I miglioramenti macroeconomici non si erano ancora tradotti in un aumento degli impieghi e quasi un milione di persone aveva perso il proprio posto di lavoro dal 2010. La popolazione votò Tsipras.

Tsipras che nel frattempo non ha però mantenuto le promesse, dovendosi scontrare violentemente con la realtà. Aveva promesso di cambiare il funzionamento dell’eurozona ‘neoliberale’ e il suo ultimo, insidioso tentativo di mettere fine all’austerità è stato il referendum di giugno. Il voto della rabbia. Rabbia alimentata dallo stesso Tsipras che andava dicendo di votare ‘no’ alle proposte dei creditori per un nuovo piano di salvataggio. Tesi che, complice la rassicurazione sul fatto che la bocciatura non avrebbe significato un no all’Europa o all’euro, ha convinto il 62% dei votanti.

Il premier si era accorto che un Grexit avrebbe avuto conseguenze devastanti. Avrebbe danneggiato in primo luogo coloro per cui Syriza era stato creato. Ha quindi cercato il compromesso e per questo ha perso un terzo del suo partito.

A quel punto, invece di trovare un modo per cooperare con i partiti di opposizione – quelli che avevano votato per il piano di salvataggio – Tsipras ha scelto di andare alle urne appena sette mesi dopo le ultime elezioni, credendo di vincerle incamerando una valanga di voti.

Si è però trovato a dover fare campagna sostenendo una tesi contraddittoria. Da una parte scusandosi per aver dovuto applicare nuove tasse e nuovi tagli alle pensioni e al contempo sostenendo che il compromesso da lui trovato con i creditori europei era l’unica via valida per riuscire a tenere il Paese a galla.

Un’ambivalenza che gli è costata in termini di gradimento. Per contro il suo avversario, Vangelis Meimarakis, del partito conservatore ‘Nea Dimokratia’ è riuscito a motivare i suoi. Così, a 48 ore dell’apertura delle urne i due partiti risultavano appaiati nei sondaggi.

Avendo esaurito il suo dogma anti-austerità e con un partito parzialmente sfasciato, Tsipras ha ora una sola arma a disposizione: lui stesso, la sua immagine. La sua “faccia che pareva intagliata in un saponetto da barbiere”, come lo ha descritto lo scrittore Thanassis Valtinos, prendendo in prestito una frase di Pirandello.

L’aspetto giovanile di Tsipras è tutt’ora percepito come un simbolo di opposizione al vecchio establishment. E lo sta usando per indurre gli elettori a dargli una seconda possibilità. Basterà il semplice messaggio ‘nuovo contro il vecchio’ per vincere? O l’immagine del premier è ormai rovinata dalla nuova austerità che è stato costretto ad approvare?

Se anche il suo partito risultasse il primo, dovrebbe comunque condividere il potere con almeno un’altra formazione. Con ogni probabilità non sarà il suo attuale alleato dal momento che ‘Greci Indipendenti’ sembrano non avere speranze di passare la soglia del 3% dei voti necessaria per entrare in parlamento. Così si troverà a dover cooperare con uno dei partiti storici, quelli contro cui sta facendo campagna secondo il mantra: “Non faremo rientrare dalla finestra quei vecchi politici che la gente ha mandato via dalla porta”.

I detrattori di Tsipras sostengono che un nuovo governo guidato da Syriza significherebbe il proseguimento dell’instabilità politica.

Secondo loro, il primo ministro non riuscirebbe a formare un esecutivo stabile alleandosi con i partiti che lui stesso ha accusato per tutta la sua carriera di essere alla base di ogni male della Grecia. Secondo i suoi avversari, il premier non riuscirebbe nemmeno a implementare un programma in cui il partito non crede. Lui stesso, del resto, ha presentato l’accordo di salvataggio come il frutto di un ‘ricatto’ da parte dei creditori.

D’altra parte, stando a molti opinionisti di Atene, Tsipras è l’unica figura politica che può far accettare le riforme. L’unico che ha ancora il capitale politico per superare il risentimento della popolazione.

Risentimento che però non è il sentimento prevalente in Grecia. Dopo più di sei anni di depressione, dopo tre elezioni e un referendum la sensazione palpabile è invece l’esasperazione. Indipendentemente da chi uscirà vincitore dalla tornata elettorale di domani, le politiche di governo per i prossimi tre anni – ovvero le condizioni iscritte nel programma di salvataggio – sono già state votate dal parlamento.

Indipendentemente da come si esprimeranno gli elettori, questa volta i greci non sono spinti né da speranza, né da paura. Semplicemente non ne possono più.

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