L'analisi

Se la Russia va in Siria

12 settembre 2015
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Continua l’impasse politico-militare in Siria malgrado quattro anni di guerra, oltre 200mila morti e quattro milioni di profughi. Non cambia nemmeno lo scenario esterno. Gli ultimi sviluppi non portano ottimismo; anzi la situazione sta complicandosi.
La Bulgaria ha chiuso il suo spazio aereo al passaggio di velivoli russi con a bordo “aiuti umanitari” diretti in Siria. La ragione di tale decisione è da ricercarsi nel “carattere dubbio” di tali carichi. Mosca non commenta la scelta di Sofia, che è irritata per la cancellazione della costruzione del gasdotto “South Stream” da parte della Gazprom.     Gli aerei federali hanno così cambiato rotta, passando sull’Iran, debitore con il Cremlino per la sua fruttuosa mediazione sul programma nucleare.
Indirettamente tira un sospiro di sollievo la Grecia, che aveva ricevuto un’analoga richiesta di sorvolo da parte della Russia tra il primo e il 24 settembre. Da indiscrezioni giornalistiche, sabato 5 l’ambasciata Usa ad Atene ha chiesto al governo Tsipras di rifiutare la richiesta di Mosca. Nei giorni scorsi il segretario statunitense Kerry ha telefonato al collega Lavrov, pretendendo chiarimenti, dopo che alcuni mass media avevano mostrato carri armati federali e unità terrestri che parlavano in russo operare in Siria.
In Occidente sta rinascendo la cosiddetta “paura di Pristina”, quando nel giugno 1999 i kosovari si risvegliarono con i blindati di Mosca nelle strade, a protezione dei serbi.
Il Cremlino – e lo si sa fin dallo scoppio delle “primavere arabe” nel 2011 – non ha alcuna intenzione di abbandonare al suo destino la famiglia Assad, storica alleata fin dai tempi dell’Urss. Questa partita è la Stalingrado della sua politica estera, l’essere ancora potenza regionale.
Nei mesi passati Mosca ha ospitato incontri segreti ed ufficiali. Il 24 luglio scorso, aggirando le sanzioni Onu – sostengono fonti occidentali – sarebbe venuto in visita addirittura il comandante di una delle unità d’élite iraniane in prima fila contro l’Isis in Siria, Iraq e Libano. Tale notizia è stata negata dai russi.
Fonti della Difesa affermano che dall’inizio di agosto le consegne di armi a Damasco sono aumentate. Finora si è privilegiata la via marittima. Gli americani sospettano che i russi stiano creando una base terreste a Latakia, la quale affiancherebbe quella nel porto di Tartus.
Sul fronte diplomatico si sa che Mosca ha pronto un piano di stabilizzazione per il Medio Oriente, che il presidente Putin presenterà nei prossimi giorni a New York all’Assemblea generale dell’Onu. Sul terreno sarebbero i curdi e gli eserciti regolari siriano e iracheno a combattere lo Stato islamico, semplificando il compito delle aviazioni della Nato.
Il nodo centrale dei dissapori resta, però, il destino politico di Bashar al-Assad. I sauditi, cruciali giocatori della partita mediorientale, hanno ribadito in agosto ai russi che l’attuale presidente siriano “non è parte della soluzione”. Di tale opinione è anche la Turchia, legata a Mosca da importanti contratti commerciali in campo energetico, e gli Usa. Su questa posizione sono anche i britannici e i francesi, i cui caccia conducono voli di ricognizione sulla Siria, in preparazione di raid contro l’Isis.
Continuando questa spaccatura internazionale, altre centinaia di migliaia di disperati sono destinate a lasciare il loro Paese in fiamme in cerca di salvezza. La parola resta così alle armi.

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