L'analisi

Il trionfo di Tsipras e il messaggio all’Europa 

26 gennaio 2015
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Stravince Alexis Tsipras, in Grecia; ma questa è anche una sconfitta per l’Europa della improduttiva austerità a guida tedesca. Quella parte di Europa che ora deve chiedersi come confrontarsi – e forse scontrarsi – sul significato e sulla gestione dello scossone provocato dalle urne greche. Questo è il categorico messaggio che arriva da Atene. Ben al di là dei pronostici. Dieci punti in più della sinistra radicale di Syriza sulla destra di Nuova Democrazia tratteggiano un sisma politico, uno scenario che davvero pochi credevano possibile. E che inevitabilmente si proietterà sul dibattito – in cui si è finora imposta la potenza (e prepotenza) tedesca – che nell’Unione europea a moneta unica mette a confronto gli ortodossi del rigore e chi ne chiede l’allentamento. Non sono dunque bastate le pressioni esterne, invero pasticciate e contraddittorie, con cui si è tentato di intralciare l’exploit dello schieramento che da ieri rappresenta “l’altra Europa”. Dalla Germania la cancelliera Merkel aveva fatto filtrare l’ipotesi di un indolore “Grexit”, l’uscita di Atene dall’euro; e il suo superministro delle Finanze Wolfgang Schäuble era stato esplicito nell’ammonire che una Grecia “ribelle” corre il rischio di autoescludersi dagli eventuali benefici del ‘quantitative leasing’ varato da Draghi per rilanciare gli investimenti nell’Eurozona; né poteva bastare lo spauracchio agitato dal premier uscente Antonis Samars, il docile esecutore dei diktat della Troika, che in mancanza d’altro ha ossessivamente evocato il percolo di collasso e schianto di una nazione in preda al caos. L’impoverimento che ha travolto anche vaste fasce della classe media (in un lustro il 37 per cento in meno di reddito) non gli ha lasciato scampo. Un Paese stremato dopo cinque anni di recessione, di disoccupazione vertiginosa, di aumento delle tasse, di gradi e piccoli produttori finiti sul lastrico, di innumerevoli saracinesche abbassate, di diminuzione dei salari anche privati, di violente sforbiciate alla spesa pubblica, di una sanità e di una scuola letteralmente in sfacelo, e di una povertà assoluta che ormai tocca quasi il quaranta per cento della popolazione, un Paese ridotto in queste condizioni non poteva certo esprimere un verdetto di continuità politica. Né potevano bastare i presunti risultati positivi della terapia d’urto, di cui i greci hanno in realtà conosciuto unicamente gli aspetti più dolorosi (mentre il debito pubblico, principale bersaglio del bazooka rigorista, non ha smesso di crescere). Difficilmente Angela Merkel, insieme ai suoi alleati, potrà ignorare il messaggio ellenico, o servirsi della mancata maggioranza assoluta, forse soltanto sfiorata da Tsipras. Del resto, qualche segnale possibilista (sulla rinegoziazione del debito, di 321 miliardi, equivalente al 175% del prodotto interno lordo; e su una terza tranche di aiuti) era stato del resto raccolto dai giovani economisti che Tsipras (euro-critico ma tutt’altro che euro-fobico) aveva inviato anche a Berlino in previsione della vittoria. Ma di certo non mancherà chi, nei santuari dell’ortodossia rigorista, tenterà di spingere la cancelliera allo scontro frontale, alla rotta di collisione ed eventualmente alla rottura nei confronti di Atene. Anche perché i rigoristi temono ora l’effetto domino di questa svolta a sinistra. A cominciare dalla Spagna, dove i sondaggi continuano a premiare "Podemos", una sorta di Syriza iberico, che potrebbe conquistare il primato alle elezioni di fine anno. Senza dimenticare la soddisfazione che oggi serpeggia negli schieramenti euro-fobici di diversi Paesi dell’UE. Adesso tocca a Tsipras, e nemmeno per lui sarà facile gestire un trionfo che lo impone anche quale leader e simbolo di un’Europa alternativa, più democratica e partecipativa, più sociale e solidale. Deve affrontare la superpotenza tedesca e i tecnocrati di Bruxelles. Non é escluso che debba trovarsi un alleato fra i partiti minori. Deve rassicurare subito i risparmiatori per evitare un assalto agli sportelli bancari. Deve trovare presto i dodici miliardi di euro indispensabili per realizzare almeno le principali promesse fatte in campagna elettorale (salari più alti, pensioni meno anemiche, sanità garantita e gratuita). Deve insomma dimostrare che un’altra politica é possibile. Possibile e indispensabile per trascinare il Paese fuori dalle secche di una crisi sociale drammatica e per non lasciarlo nelle mani della destra estrema e populista che punta sul suo fallimento. Sotto il Partenone, ma non solo.

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