LA TRAVE NELL’OCCHIO

Ricchezza: pochi su e tanti giù

L’aumento delle diseguaglianze impone di ripensare un modello di sviluppo dominato dalla ‘teoria dello sgocciolamento’. Anche in Ticino

(Depositphotos)
22 settembre 2021
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Mi capita sotto gli occhi una vecchia noticina per un corsivo mai scritto. La rivista Bilanz ha stilato la graduatoria dei 300 più ricchi della Svizzera, anno 2020: la categoria non se la passa troppo male con 702 miliardi in tasca, 27 miliardi in più rispetto al 2019. Il 2021 non ha sconvolto la tendenza: la forbice fra ricchi e disagiati si è allargata. I dati confermano: l’1% controlla il 42% della sostanza globale. Il Covid-19, pure in questo ambito, ha fatto qualche non trascurabile differenza. Anche a livello mondiale le diseguaglianze sono in aumento e l’1% della popolazione ha il 50% del patrimonio globale. È il “buon andamento dei mercati!”, ci segnalano gli analisti, e c’è da rallegrarsi: ma i dividendi non sono per tutti.

Il problema non è tanto la distinzione fra ricchi e poveri (quelle differenze sono ineliminabili), ma è la crescente diseguaglianza economica e sociale fra chi ha sempre di più e chi ha sempre di meno, e a preoccupare è soprattutto la “noncuranza” dello Stato nel correggere la distorsione con opportune politiche pubbliche che facciano prevalere l’interesse generale sul corporativismo neoliberista, che deforma la realtà e condiziona i giudizi dei cittadini.

Oggi al disincanto democratico ha pure contribuito la smodata celebrazione dei meriti dei manager, osannati come eroi del nostro tempo: intervistati e corteggiati dai media, ci insegnano che l’economia, le banche, il capitale finanziario, i liberi mercati e i listini delle Borse comandano il mondo. Si dicono i grandi benefattori dell’umanità e pretendono di esibire la virtù dei migliori. Ma non mi risulta che il loro successo sia garanzia di eccessiva inclinazione verso il prossimo, di abnegazione e altruismo, salvo rarissime eccezioni. Il liberismo sfrenato, di cui sono fedeli assertori, si regge sull’assunto che la ricchezza di pochi fa la felicità di tutti (è la teoria dello “sgocciolamento”: la ricchezza cade verso il basso e porta conforto anche ai meno abbienti). La realtà smentisce l’asserzione.

Conseguenze? Un tempo la democrazia parlamentare era ritenuta la forma di governo che tutelava i deboli e gli inermi, oggi è considerata la forma che protegge gli interessi di pochi a scapito dei tanti. E infatti la principale accusa allo Stato democratico rappresentativo è di non rappresentare più il bene collettivo, di essere contro i cittadini e sempre meno inclusivo (parecchi parlamentari – dicono i critici – dimenticano gli elettori e agiscono secondo logiche lobbistiche. La loro abilità? Contrabbandare gli interessi di una parte con l’interesse di tutti. Non è quasi mai così, ma il trucco in genere funziona).

Ecco il dubbio sollevato da Ezio Mauro, ex direttore di La Repubblica, che certamente sovversivo non è: la democrazia da regime di tutti è forse diventata un regime di pochi? Il già presidente della Corte costituzionale italiana Gustavo Zagrebelsky, che pure lui eversivo non è, risponde che i detentori del potere esaltano le virtù della democrazia e intanto consolidano il controllo sugli inermi. Sul tema la discussione è aperta.

Certo è che quando una parte cospicua di individui ritiene che lo Stato non la aiuti e i parlamentari non la rappresentino più, la tentazione di guardare altrove e di ritenere che le democrazie liberali non siano più adeguate si fa assai forte. Quindi le statistiche di Bilanz non dovrebbero essere considerate semplici informazioni: dovrebbero essere la molla per una riflessione sulla strada da seguire per ripristinare i valori traditi della democrazia liberale.

Ad esempio: quando ci convinceremo che lo Stato liberale democratico non può ammettere e giustificare nel suo seno le crescenti diseguaglianze indotte dal neoliberismo? Storicamente lo Stato liberale democratico si afferma, non senza fatica, con una formula che propone un po’ più di equità, un po’ più di eguaglianza e un po’ più di solidarietà, valori senza i quali non c’è né vera democrazia, né vera libertà. Diceva un grande intellettuale europeo, Stefano Rodotà, che “se diventano difficili i tempi per la solidarietà, lo diventano pure per la democrazia”. Infatti è così.

L’iniziativa 99% mi pare toccare l’argomento: se ne discuta e ognuno si faccia la sua opinione. Ma, per favore, non si dica – come quel loquace deputato, solista incontenibile del “liberismo compassionevole” – che l’iniziativa è populista e dannosa per tutti, e che i ricchi sono dei benefattori della collettività perché la ricchezza di pochi è quella di tutti; e per quelli che occupano gli ampi seminterrati della società c’è a disposizione l’assistenza pubblica. Un tempo si diceva che i poveri sono necessari perché consentono ai ricchi di redimersi: e allora, già che ci siamo, viva le diseguaglianze?

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