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Lo sport protesta ma non fa eccezione

Le misure del Consiglio federale contro gli assembramenti volte a contenere il numero dei contagi colpiscono duramente lo sport. Duro, ma comprensibile

29 ottobre 2020
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Stop allo sport amatoriale, porte chiuse per quello professionistico. Le misure del Consiglio Federale, nell’aria da tempo, sono planate con effetto dirompente.

In ambito professionistico, hanno pesanti ripercussioni di ordine economico, per il mancato incasso che grava in modo serio su bilanci già forzatamente rivisti al ribasso per effetto del lockdown della scorsa primavera. Già allora, sui club delle principali leghe professionistiche aleggiò, sinistro e minaccioso, lo spettro del fallimento.

L’avvoltoio è stato riavvistato, più minaccioso che mai, pronto a gettarsi su una preda nuovamente in grave difficoltà. La quale invoca aiuti federali, ne va della sua sopravvivenza. Ha urlato, una volta colpita, nella speranza di essere ascoltata. I prestiti che saranno concessi sono linfa vitale, ma tempo ce n’è comunque poco. O torna il pubblico entro termini ragionevoli - laddove ragionevoli significa molto brevi - o l’intero movimento rischia il tracollo finanziario. Tale dissesto finanziario sarà scongiurato, in un modo o nell’altro, non fosse che per l’impatto che lo sport ha a livello sociale e sul mondo del lavoro, già duramente colpito e a rischio di un’ulteriore potente mazzata.

Lo sport professionistico non chiude i battenti, ma le porte le deve sbarrare, per tenere fuori il pubblico. Protesta, non ci sta, ritiene di aver già dato, in termini di sacrifici. Si professa innocente, senza macchia, e in definitiva lo è. Focolai non ne ha causati, ai contagi ha reagito con pronte quarantene. Le misure adottate dai club a beneficio della salute, la ristrutturazione di stadi, piste e arene, i protocolli rigorosi approvati dalle autorità cantonali e federali, sono gli argomenti adottati per chiedere che la gente possa tornare. Legittimo. Peccato che in discussione non vi sia la qualità della risposta all’emergenza, per quanto possa essere impeccabile, bensì la gravità di un’emergenza sanitaria che non può che colpire tutti i settori, tutti i potenziali luoghi di assembramento, anche quelli che sin qui si sono dimostrati in sicurezza. Tutti facciano un ulteriore sacrificio, ci viene chiesto. Non semplice da chiedere, a chi ha fatto tutto quanto andava fatto, con risultati pregevoli. Nemmeno così facile da comprendere, a ben vedere, proprio perché non è in stadi, piste o arene che il covid ha trovato terreno fertile. Lì attorno, però, probabilmente sì. E sui mezzi pubblici, per arrivare allo stadio. E nei tanti bar sport lì attorno. La curva dei contagi, preoccupante, ha imposto di essere drastici, a tutto tondo. Le preoccupazioni delle società sono condivisibili, ma occorre anche capire che aver fatto molto bene il proprio lavoro non mette al riparo da un giro di vite che non può fare sconti a nessuno, nemmeno ai virtuosi.

Quanto allo sport amatoriale, altrimenti detto “per tutti”, la prospettiva cambia: incassa un’interruzione, ma non tale da comprometterne l’esistenza. Le misure restrittive gravano più che altro su questioni di ordine sociale, ma sono temporanee, quindi destinate a rientrare. Quanto incideranno, lo stabilirà la durata dello stop. La durata la determinerà l'applicazione delle regole e la responsabilità individuale di ciascuno di noi. Che siamo sportivi o no non fa alcuna differenza.

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