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Lo slalom tra tamponi e rinvii dell'hockey

Mentre gran parte dello sport dilettantistico si mette in pausa, nel disco su ghiaccio si va avanti. Ma con calendari azzoppati

L'ultima partita dei bianconeri prima dello stop forzato (Kesystone)
23 ottobre 2020
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Niente più calci al pallone sui campi ticinesi almeno fino a metà novembre. E nemmeno la palla a spicchi rimbalzerà più per un po’ sui parquet di casa nostra. Il coronavirus è tornato a dettare il ritmo dello sport. L’aveva già fatto in primavera, è tornato a rifarlo in questa prima metà dell’autunno. Se possibile con ancora più prepotenza che in precedenza, perché sebbene questa prima avvisaglia di seconda ondata stia effettivamente e fortunatamente lasciando dietro di sé meno vittime, è innegabile che la sua forza d’urto il segno lo lasci comunque bello profondo nel nostro panorama sportivo. Mettendo in pausa diversi campionati (soprattutto a livello amatoriale) e azzoppando i calendari di quelle competizioni che, invece, scelgono ostinatamente di andare avanti facendo fronte a tutte le incognite che ne conseguono. L’hockey professionistico è fra questi. Ha dovuto concedere alla pandemia un paio di settimane ma poi, da quando è partito per davvero, il campionato cerca caparbiamente di andare avanti quasi come se nulla fosse, almeno fino al 2 novembre, data di quello che sarebbe stato il primo break internazionale.

Quel ‘benvenuti nella nuova normalità’ con cui a inizio mese era stato accompagnato l’ingaggio d’apertura della stagione 2020/21 del massimo campionato sta assumendo sempre più i contorni di un déjà vu. I primi casi di positività nelle leghe amatoriali, scattate ancor prima di National e Swiss League, e i conseguenti rinvii erano stati i primi campanelli d’allarme. A cui hanno poi fatto seguito i diversi contagi emersi nel torneo cadetto. E non passa giorno che la striscia si allunga, con un tabellone delle partite di giornata che si assottiglia sempre più, con la conseguenza che i recuperi si spalmano praticamente su tutta la settimana.

Dal coronavirus non è rimasta immune, ovviamente, nemmeno la National Legue. Il Friborgo è stato il primo a confrontarsi con la tanto decantata ‘nuova normalità’, fatta di tamponi e quarantene: il tempo di giocare quattro partite e tutti in isolamento per decisione del medico cantonale friborghese. Poi è toccato al Lugano: tre giocatori positivi e tutti a casa per una decina di giorni, col permesso però di allenarsi nella ‘bolla’ (altra parola con cui lo sport ai tempi del coronavirus ha imparato a convivere). Stop forzato che per i bianconeri si è esaurito allo scoccare della mezzanotte di ieri, e già stasera saranno in pista per il loro quinto impegno stagionale, contro il Davos. Intanto in classifica c’è chi di partite ne ha già giocate il doppio (lo Zurigo). Mentre le tribune – rimaste solo quelle dopo la soppressione degli spalti in ossequio alle disposizioni sanitarie – sono sempre meno frequentate, indipendentemente da ulteriori limitazioni sull’affluenza massima consentita, in pista si cerca di andare avanti all’insegna della flessibilità. Gli organizzatori della Coppa Spengler, logicamente, hanno già gettato la spugna qualche settimana fa, poi la Nazionale ha cancellato i suoi appuntamenti del 2020 per fare spazio al campionato e ai suoi inevitabili recuperi. Di fronte a tante incognite, l’unica certezza è forse quella che le quarantene di Friborgo e Lugano ben difficilmente saranno le uniche in National League. È allora è più che lecito chiedersi fino a quando si potrà andare avanti. E fino a che punto avrebbe ancora senso farlo. 

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