laR+ DISTRUZIONI PER L'USO

Se l'attore brucia il teatro (di politica, social e insulti)

Anche il presidente ticinese di un partito storico come il Ppd usa i social network come certi populisti. Con conseguenze pericolose

(Wikimedia Commons)
29 settembre 2020
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Ancora una volta, bisogna prendere atto del fatto che il Ppd ha deciso di piantare la tenda nel bel mezzo del campo populista. Sarebbero potute bastare le campagne paraleghiste contro i radar e le tasse di circolazione, la demonizzazione medievale del 5G, i furori forcaioli su temi delicati come la pedofilia. A chi ancora avesse dubbi su questo ‘brand positioning’ oscurantista e preconciliare, basti ora quale prova regina l’ultima piazzata: quella del presidente del partito contro chi si è opposto alla commissione parlamentare sugli abusi sessuali nell’amministrazione pubblica.

Su una questione così spinosa, naturalmente, si possono avere le opinioni più divergenti, a destra come a sinistra. Comunque la si pensi, però, riesce difficile condonare la scelta di mettere alla berlina chi vi si è opposto sui social network, con tanto di foto delle granconsigliere presunte colpevoli, maiuscolo indignato e didascalia berciante, “donne liberali radicali in un momento di giubilo per l’avvenuta insabbiatura” (en passant, un dubbio: se fossero stati uomini, il ruvido presidentissimo l’avrebbe specificato? O siamo ancora al maschilismo veterotestamentario?). La mossa naturalmente ha dato la stura alla violenza da tastiera, al punto che qualcuno ha perfino augurato alle due signore di essere 'ripagate' con molestie sessuali.

Qualche ignaro dirà che la politica è passione, anima, che anche a Peppone e Don Camillo ogni tanto saltavano i nervi. Ma siamo nel 2020, non nel 1950, e conosciamo tutti benissimo le conseguenze di certe comunicazioni sui social. Come dice un mio collega, è ancor più vigliacco che lanciare il sasso e nascondere la mano; è addirittura esibire a bella posta un cumulo di pietre, e aspettare che qualcun altro le lanci al nemico (nemico: perché mettendolo in questa prospettiva non lo si tratta più solo come un politico che la pensa diversamente, diventa l’adultera senza Gesù. Dispiace doverlo ricordare proprio a un cattolico). Poi va bene lo scontro duro sulle idee, va bene a volte perfino il ‘c’ut vegna un chéncar’ di guareschiana memoria, finché resta limitato al confronto tra pari, nel campo neutro dei contesti istituzionali. Ma quando la si butta sull’insulto digitale, non c’è buona fede che tenga: si trasferisce deliberatamente la discussione tra gli specchi deformanti d’un luna park come Facebook. A quel punto il motivo del contendere non c’entra già più nulla, si chiamano le folle inebriate al noi-contro-loro, lungo la peggiore delle scorciatoie possibili. Non sta poi a me far processi alle intenzioni, stabilire se certe uscite capitino per dolo o per ignoranza; noto solo che entrambe le ipotesi mi paiono poco compatibili con la dignità di certe cariche.

Questo non è l’unico caso recente di bullismo politico sui social: “brozzoni” e “pagliacci” sono i ragazzi che manifestano per il clima, secondo certi consiglieri che abbiamo mandato fino a Berna; “casta” e “svenduto” chi difende i bilaterali, per altrettanti indignatissimi della destra più codina. La Lega cavalca questo tipo di approccio da prima ancora che esistesse il web, ma neppure la sinistra è vergine dell’insulto bigotto e manettaro. Dispiace anzitutto per chi ci finisce in mezzo, per chi vorrebbe discutere e perfino litigare sulle idee, ma senza gli improperi di certi soldatacci rozzi e malaccorti. Soprattutto quando il tema chiama in causa la giustizia, un principio che su certe bacheche degenera facilmente nel suo fratellastro debosciato: il giustizialismo.

La preoccupazione non è tanto per chi ha scelto la politica. È un ruolo che richiede la pelle dura, e la capacità di mantenere un certo aplomb anche quando ti sputano addosso, come l’arbitro d’una serie minore. Preoccupa semmai il pensiero che a serie minore sia ridotta la vita pubblica nel suo complesso. E sì che basterebbe per un momento staccarsi da Facebook e riprendere in mano ‘Massa e potere’ di Elias Canetti. Tra le altre cose, spiega che ci sono due modi per muovere all’unisono il pubblico d’un teatro: uno è presentarsi sul palcoscenico al meglio dei propri talenti; l’altro, molto più facile e rapido, è dare fuoco alla sala. Stavolta hanno prevalso benzina e cerini: peccato.

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