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Paura batte cultura? Grosso problema!

Visite culturali ai tempi del covid: aumenta la prudenza!

22 settembre 2020
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Un recente sondaggio – commissionato dall’Ufficio federale della cultura e dai delegati cantonali agli affari culturali – mette in evidenza che un terzo della popolazione svizzera intende riprendere le visite culturali, ma solo quando sarà completamente superata la crisi legata al coronavirus. E pensare che, all’inizio di giugno, ‘soltanto’ un quarto della popolazione la pensava così. Vi risparmiamo altre percentuali, date e dati per regione. Ma in quei numeri c’è una logica: all’avvio dell’estate vivevamo ancora nell’illusione, anche grazie alle mille attività che potevamo svolgere completamente all’aperto, di avere ormai il Covid un pochino alle spalle. Ma poi, dietro alle spalle, abbiamo avuto solo il picco e il fatto che abbiamo imparato a convivere col virus grazie alle varie misure di protezione adottate.

Ora, però, mentre ci stiamo lentamente incamminando verso l’autunno, risulta che non c’è più troppa voglia di seguire manifestazioni culturali (presumiamo) al chiuso. Lo diciamo perché, sempre dal sondaggio, emerge che, mettendo in relazione la scorsa e la prossima stagione culturale, anche le cifre degli abbonati in tutto il Paese stanno subendo una flessione. Ben il 43 per cento degli attuali ‘aficionados’ intende ridurre la spesa per gli abbonamenti o non affrontarla affatto.

Il fattore incertezza

Ancora una volta a far paura è l’incertezza, tanto più che da Londra, alla Spagna e alla Francia, stiamo assistendo alle prime nuove importanti chiusure.

Ma, se leggiamo i dati del sondaggio da un’altra prospettiva, possiamo anche scrivere che non appena lo si è potuto, quest’estate si è tornati a fare più cultura nelle sedi preposte, ma anche (bella novità) per le nostre strade, nelle piazze e negli spazi pubblici esterni delle biblioteche cantonali. E la popolazione c’era. Probabilmente, vedendo le tante persone che escono in centro la sera ad esempio a Bellinzona, possiamo dire che c’è un nuovo tipo di offerta grazie agli eventi musicali su quei tre/quattro palchi montati tra piazza Indipendenza e la Collegiata. Perché il Covid ci ha obbligati a consumarla all’aperto, scendendo dai piani alti anche delle biblioteche, per raggiungere in piazza molti più comuni mortali.

Assicurazione dell'ente pubblico?

Di problemi, anche quasi insormontabili, ce ne sono comunque ancora tanti da risolvere. Uno per tutti, cosa potrà/dovrà fare il blasonato Festival di Locarno, ma anche tanti altri festival minori di grande qualità. Penso ad esempio a quello di Arzo, tanto per fare un altro esempio di vita culturale comunitaria fra le corti. Non abbiamo risposte, se non il fatto di pensare ad una sorta di assicurazione da parte dell’ente pubblico, per coprire, in questi mesi di convivenza forzata col virus, almeno in parte il rischio che una determinata manifestazione (già esistente e di un certo richiamo) possa svolgersi, ma a ritmo (e pubblico) ridotto. Se non arriverà una mano dall’alto, nessun privato si assumerà il rischio di organizzare eventi, senza avere poi la sicurezza di rientrare nei costi. E non diteci che la sperimentazione dell’online forzato sia la stessa cosa e neppure il fatto di non poter più attingere a bacini artistici esteri che ci davano parecchio ossigeno riconvertendoci al superlocale. Se non ci inventeremo qualcosa la cultura, che dà sapore ai giorni, patirà. E noi con lei.

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