Commento

Giuseppe Buffi, vent'anni dopo la sua scomparsa

Era il 20 luglio 2000 quando dall'Italia rimbalzò, fragorosa, la notizia della morte del presidente del governo cantonale

(Ti-Press)
20 luglio 2020
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La notizia della morte di Giuseppe Buffi arrivò improvvisamente in redazione la sera tardi, quando il giornale era già quasi pronto per la stampa. Era evidentemente una notizia di quelle enormi, che ti ripeti almeno due volte prima di crederci: la morte del presidente del governo cantonale in carica.

Richiamai subito in redazione il vicedirettore di allora, Michele De Lauretis, e Paul Guidicelli, che con Giuseppe Buffi aveva trascorso diversi anni al Dovere, testata di cui – prima di diventare ministro – fu direttore. De Lauretis si occupò di raccogliere reazioni di politici di diverso colore che, interpellati in piena notte, venivano a sapere della brutta notizia e non si capacitavano. Guidicelli si occupò, invece, di ricordare l’ex collega Buffi.

Confezionammo due edizioni del giornale, fermando dopo la mezzanotte la rotativa vista l’eccezionalità della notizia. E poi ci recammo in stazione, dopo l’una del mattino, per vedere cosa aveva pubblicato la concorrenza di Muzzano. Nulla, tanto che il giorno dopo il ‘Corriere’ fece un’edizione speciale consegnandola a mano per le strade del cantone per rimediare al buco.

Rammento questo aneddoto per raccontare di un mondo mediatico che non c’è più, molto più lento di quello nel quale viviamo ora: pensate, la Rsi, pur avendo la notizia già dalla tarda notte, la rese pubblica solo al radiogiornale delle 7 di mattina del giorno dopo.

Pare che venne invitata da un alto funzionario del governo a non uscire perché andavano avvertiti prima tutti i familiari. Oggi sarebbe impensabile, anzi impossibile: un fatto del genere da subito galopperebbe nella rete. 

Capacità nel tessere compromessi

Di Giuseppe Buffi, uomo politico e di cultura di lungo corso, si potrebbero rievocare molti tratti. Ma, scegliendone uno solo, non esiterei a citare la sua capacità di tessere compromessi. Anche quelli storici, che permisero di creare l’Università della Svizzera italiana. Compromessi fra partiti e movimenti: a Lugano, fra i liberali di Giorgio Giudici, i leghisti di Giuliano Bignasca e i ‘ciellini’ di Monsignor Corecco; a Mendrisio, con il Ppd per l’Accademia di Mario Botta. Solo così, combinando anche le dimensioni comunale e cantonale (oggi sparite) e diverse correnti partitico-politiche, fu possibile dare avvio al progetto Usi e ‘neutralizzare’ possibili opposizioni e imboscate. Compromessi che, evidentemente, fecero anche storcere qualche naso al solo pensiero che la Lega, allora composta da personaggi molto discutibili, potesse tenere a battesimo e gestire l’Università. Ma nessun pericolo: a loro allora interessava ‘solo’ il cantiere. Come d’altronde fu per il Lac. Compromessi che, a qualcun altro, potente come Buffi ma operativo sulle rive del Ceresio col titolo di ‘re’, dopo anni di relazioni pericolose e ravvicinate, costarono la corona. 

Comunque sia, grazie all’abilità politica di Buffi, all’eccezionale forza operativa sul campo di Mauro Dell’Ambrogio e alle energie di chi ha gestito l’Usi negli anni a seguire, oggi la Svizzera italiana rientra tra i cantoni universitari a pieno titolo e questo è un passo decisamente in avanti nella nostra crescita culturale in senso lato. L’Università resta senza dubbio la maggior creazione istituzionale degli ultimi 25 anni, in continua fioritura e all’altezza dei tempi.

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