Commento

Troppi medici da fuori? Ma allora formiamoli!

E poi basta con le non soluzioni destinate al primo ricorso ad essere bocciate da Losanna

12 giugno 2020
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I medici nel nostro cantone non devono conoscere una seconda lingua nazionale. Ovvero: tale requisito non può essere preteso per ottenere l’autorizzazione all’esercizio della professione medica. Una condizione illegale, visto che la legge federale prevede che basti la conoscenza di una sola lingua nazionale per esercitare. Lo ha sancito il Tribunale federale.

Primanostristi ad ogni costo

Che così sarebbe andata a finire già lo si sapeva, perché, quando il parlamento cantonale ha inserito quella disposizione nella legge ticinese, il governo e qualche gran consigliere non primanostrista ad ogni costo aveva avvisato i deputati: non illudete nessuno, in caso di ricorso la norma verrà cancellata. E così è stato, perché la clausola discriminatoria è stata di fatto voluta per sfavorire chi viene da fuori e farsi belli verso il proprio pubblico. 

Resta sul tavolo la domanda non peregrina: da un profilo molto pratico, come faremmo a coprire il fabbisogno di professionisti nel settore (e non solo qui a Sud delle Alpi), quando oltre la metà di medici nel nostro cantone è straniero, è nato e si è formato fuori dai nostri confini e l’offerta made in Switzerland è insufficiente? A questa domanda si potrebbe (anzi dovrebbe) rispondere – considerata pure l’esigenza di dipendere almeno un po’ meno dall’estero per il personale sanitario (per esempio in caso di pandemia) – aumentando il potenziale di formazione di medici in Svizzera. Ma la politica è pronta a farlo? 

L'importanza dell'inglese

Abbiamo interpellato alcuni medici che qui vivono e che si sono formati nelle nostre università e ci sono sembrati concordi. Conoscere una seconda lingua nazionale è importante per chi qui opera, visto che viviamo in un paese plurilingue e che la maggior parte della popolazione parla e scrive nelle altre due lingue nazionali. Meglio quindi conoscerle per riuscire a interloquire coi pazienti confederati, soprattutto in un cantone come il nostro: il tedesco, ad esempio, serve parecchio se si opera nel Locarnese e nel Luganese. Ma, oggi come oggi, la letteratura medica da consultare, o i seminari di formazione, si tengono piuttosto in inglese. Ragione per cui la questione della seconda lingua nazionale per questioni scientifiche risulta secondaria rispetto alla conoscenza dell’inglese.

Formazione non scorciatoie

L’impressione che abbiamo ricavato dal prevedibile dietrofront imposto dai giudici di Losanna al Gran Consiglio, è che si cerchi (e non è la prima volta) la scorciatoia che poi finisce in un vicolo cieco e si deve innestare la retromarcia. Altra via, ben più impegnativa, è quella di formare medici, anziché importarli per poi lagnarsi che non conoscono i nostri approcci alla medicina, che hanno poca esperienza pratica rispetto a chi si forma qui, che non sanno nulla di un complicato sistema Lamal e via dicendo.  

Formarne di più considerando anche che gli aspiranti medici, che si presentano ogni anno agli esami d’ammissione alle nostre università sono sempre molti rispetto a chi (una minima parte) riesce poi a superare gli esami anche solo di ammissione e, laddove non c’è la prima scrematura, a scalare l’alto scoglio del primo anno. Se si continua a formarne un numero tutto sommato molto ridotto rispetto al fabbisogno, non c’è altra scelta se non aprire, anzi spalancare le frontiere. Insomma la soluzione al problema c’è: vogliamo più medici cresciuti qui? Formiamoli!

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