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Le sfide etiche del vaccino per il nuovo coronavirus

Quanti vorranno prendere il nuovo vaccino? Tra obbligatorietà e fiducia nelle istituzioni sanitarie e politiche, che cosa può insegnarci l'emergenza sanitaria

23 maggio 2020
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L’attenzione è tutta per il vaccino per il nuovo coronavirus: quando arriverà, quanto sarà efficace, quali saranno i costi, se e in quanto tempo si riuscirà a renderlo disponibile a tutta la popolazione mondiale.

Tuttavia, tra i tanti annunci di sperimentazioni più o meno promettenti e più o meno avanzate, una piccola notizia è passata pressoché inosservata: due vaccini sperimentali, basati su versioni geneticamente modificate degli agenti patogeni, si sono dimostrati sicuri e hanno dato primi segni di efficacia. La notizia è passata inosservata perché non si tratta di vaccini contro la Covid-19, ma contro la malaria: non il nuovo coronavirus, ma il vecchio parassita Plasmodium che ogni anno fa centinaia di migliaia di morti, soprattutto in Africa.

Le due malattie sono molto diverse, causate una da un virus a Rna, l’altra da un protozoo, per cui ogni confronto va fatto con cautela. Tuttavia desta stupore pensare che il vaccino per un virus sconosciuto fino a pochi mesi fa arriverà prima di quello per una malattia conosciuta e studiata da tempo – ma che ormai colpisce quasi esclusivamente le popolazioni a basso reddito, il che spiega come mai la ricerca proceda meno velocemente che per il nuovo coronavirus.
In che modo il problema delle malattie infettive neglette riguarda la pandemia di Covid-19, l’emergenza sanitaria e il vaccino che potrebbe permetterci di superare tutto questo? Il fatto è che per cambiare davvero le cose, il vaccino deve essere adottato da buona parte della popolazione affinché il virus non possa più diffondersi. In un articolo firmato da Sarah Schaffer DeRoo, Natalie J. Pudalov e Linda Y. Fu pubblicato su Jama, il Journal of the American Medical Association, si stima che se più del 10 per cento delle persone rifiuterà il vaccino sarà difficile raggiungere questa immunità di gruppo. Un risultato non facile da realizzare, non solo per quella minoranza che, appellandosi a inconcludenti complotti, sostiene la dannosità dei vaccini, ma per quella fisiologica esitazione vaccinale che è immaginabile sarà ancora più alta, nei confronti di un vaccino sviluppato molto velocemente.
Come raggiungere la copertura necessaria? L’obbligo vaccinale è una soluzione che ha le sue ragioni e i suoi sostenitori, ma per quanto prevista dalla Legge sulle epidemie è difficile che in Svizzera si tenti questa strada.
Si punterà verosimilmente sul consenso, cercando di convincere la popolazione. Basteranno raccomandazioni e campagne informative, per raggiungere i livelli necessari per l’immunità di gruppo? Nell’articolo su Jama le autrici sottolineano alcuni punti delicati, dall’importanza di contrastare la disinformazione sui vaccini che circola soprattutto online, alla necessità di coinvolgere tutto il personale sanitario, non solo i medici. Il punto centrale rimane comunque la fiducia: nell’efficacia e nella sicurezza del vaccino, innanzitutto, e più in generale nelle istituzioni scientifiche, sanitarie e politiche. E la fiducia non la si costruisce con un opuscolo. La scarsa credibilità di cui godono molte industrie farmaceutiche è anche collegata al vaccino per la malaria, alle difficoltà che si incontrano nel cercare fondi per le malattie che non colpiscono l’Occidente. La via per l’immunità di gruppo passa anche da qui.

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