Commento

Marco, riavrai il tuo Locarno

Nonostante siano altre le priorità, lo sport manca. A chi di sport scrive, a chi lo pratica e a chi lo segue da spettatore

Un calcio al pallone (Ti-Press)
2 aprile 2020
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Scrivo di sport. O meglio, continuo a scrivere di sport nonostante sia tutto fermo. E così fanno i miei colleghi, impegnati a tenere accesa la fiammella di un ambito sociale completamente (o quasi) azzerato dal virus. Scovando, tra la stretta attualità, l’immaginazione e l’esperienza accumulata in tanti anni di lavoro ‘al fronte’, temi e interviste che possano interessare, stuzzicare la lettura, o anche solo fornire un motivo di svago in una quotidianità svuotata di tutte le frivolezze che prima la contraddistinguevano, senza che dessimo loro l’importanza che invece hanno sempre avuto. E che riscopriamo ora che sono venute drasticamente meno.

Tra queste, appunto, lo sport, in tutte le sue declinazioni: dalla pratica amatoriale, a quella professionale, dalla partita allo stadio alla chiacchiera da bar, ergendosi ad allenatori, criticando il pareggio, godendo delle sconfitte dei rivali, più delle vittorie dei propri beniamini, esercizio molto caro ai ticinesi appassionati di calcio e hockey. Si chiama ‘tifo contro’, l’ho più volte criticato, ma adesso mi manca.

Un caro amico più volte, in passato - e lo ha fatto ancora di recente, prima che scoppiasse la crisi - mi ha confessato quanto gli mancasse il rito della partita del ‘suo’ Locarno allo stadio Lido, quando ancora militava in Lega nazionale, o in Prima Lega, giacché quell’amore sbocciò contro l’Ibach, il Rüti e l’Altstätten, in tempi non sospetti, e soprattutto non malati. Marco descriveva quel ‘vuoto’ con un senso di nostalgia molto bello in quanto sentito, reale, onesto. Lo capivo già allora, anche perché in parte quella sensazione era anche mia. Ora, però, lo comprendo meglio: in fondo c’entra poco, quel Locarno, con la crisi sanitaria, ma rende l’idea e suscita sentimenti simili, soprattutto attualissimi: privazione, smarrimento, nostalgia...

Con partite, allenamenti e grandi eventi sono venute meno le emozioni positive che lo sport era in grado di generare. Con esse, anche tutte le esasperazioni che lo hanno reso meno nobile di un tempo. Ma sono pur sempre emozioni vive, sensazioni forti. Forti e coinvolgenti, tanto da riempire parte delle nostre giornate, con benefici evidenti al fisico - in caso di pratica -, agli occhi e al cuore, per chi vi si sente particolarmente coinvolto, in quanto tifosissimo o sportivo professionista.

Insomma, per quanto non sia un bene di prima necessità, benché l’emergenza con la quale siamo costretti a convivere sia di una gravità tale da declassarlo a ambito trascurabile, convogliando tutte le nostre energie verso le vere priorità, lo sport manca. Manca a chi ne scrive e vorrebbe tornare a farlo (anche) da uno stadio o da una pista, in mezzo a gente col sorriso o immusonita, a seconda del risultato; manca a chi legge, alla ricerca di un po’ di sana leggerezza e di quel confronto a distanza con chi commenta che alimenta le discussioni da bar (scritto con il massimo rispetto) di cui sopra; manca a chi lo pratica: per taluni è una valvola di sfogo, o un modo per restare in forma, ma per altri è un lavoro, una professione che non è più possibile svolgere. 

Abbiamo altri problemi, che rendono inevitabile e doveroso il distacco. Ne facciamo a meno, pur continuando a scriverne. Ma quanto sarebbe bello restituire a Marco il suo Locarno...

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