Commento

Il morbo democratico che sospende la democrazia

La stragrande maggioranza della popolazione accetta questa fase. Ma a tre condizioni che investono il presente e il futuro rapporto fra cittadino e politica

In Israele il 2 marzo la democrazia si è espressa anche così: con guanti e mascherina (Keystone)
23 marzo 2020
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Di questo maledetto virus si dice che sia ‘democratico’, può colpire tutti e ovunque. Si vedrà, statistiche finali alla mano. E si afferma anche che possa ulteriormente indebolire la democrazia parlamentare, forse stravolgerla, addirittura ucciderla. Anche qui, si vedrà. Dipende da come evolverà, da quanto senso di insicurezza inietterà nel tessuto collettivo. Insomma se alla fine (perché una fine ci sarà) non dovremo constatare anche gli effetti di un altro virus, di un “Covid-19” politico, che una volta inoculato potrebbe sconfiggere per risentimento, rabbia e sfinimento le regole democratiche. Definitiva tappa di tanti moderni e interessati aruspici, che già prima della pandemia avevano profetizzato il tramonto del liberalismo parlamentare, considerandolo ‘obsoleto’ (Putin dixit); o di chi coi fatti aveva fatto capire quanto sarebbe più comodo poter agire senza le regole del “check and balance”, cioè del “controllare ed equilibrare” (non vi ricorda un tizio alla Casa Bianca?).

Così, immancabilmente, ecco che da troppe parti si è levata l’invocazione “facciamo come la Cina”. Paradossale fascinazione. Quella di un regime dittatoriale, che con i suoi assurdi ritardi, le sue iniziali mancate informazioni e ammissioni, gli arresti dei medici che per primi segnalarono la catastrofe, ha bloccato e isolato un’intera regione con milioni di abitanti ma ha anche favorito l’esportazione del morbo fino in Europa. In realtà anche la democrazia dispone, volendo, degli strumenti per reagire, anche duramente, anche limitando di molto le libertà individuali per privilegiare l’interesse collettivo. La stragrande maggioranza della popolazione, anche da noi, accetta questa fase di “democrazia sospesa”. Ma a tre condizioni che investono il presente e il futuro rapporto fra cittadino e politica: quella di un tempismo e di una competenza che non sono stati sempre esemplari; quella di una trasparenza e una coerenza comunicativa a volte poco convincente, creando un certo inevitabile disorientamento; e quella di un impegno che riguarda anche il futuro. Non solo l’ovvio, immediato ripristino delle piene regole democratiche appena sarà possibile (ma c’è da temere che sarà un processo lungo e ancora molto insidioso); e non solo un pacchetto di misure economiche, pure per i “piccoli” (artigiani e salariati) corrispondente alla ricchezza del Paese (dalla Banca nazionale, alle grandi banche che furono salvate anche dal denaro pubblico, ai super patrimoni, eventualmente con una “patrimoniale di scopo” dello ‘zero virgola’ sui grandi risparmi). Ma pure un impegno per l’avvenire, soprattutto nell’ambito della politica sociale, che superi il martellante discorso sul “troppo Stato”, la compressione del welfare, l tagli alla spesa pubblica, la mortificante discussione su salari almeno dignitosi a fronte di bonus dirigenziali da capogiro, un’azione più incisiva sul fronte della sostenibilità ecologica e ambientale.

Si deve pretendere che ognuno faccia la sua parte. Oggi il cittadino con i suoi sacrifici. Ma domani le leadership (politiche e no), che non potranno pensare che tutto torni semplicemente come prima. È la condizione per salvare o risollevare anche le sorti del laborioso, impegnativo e oggi traballante sistema di valori che regola la nostra convivenza. “Forza democrazia”, dunque.

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