Commento

Coronavirus e recessione, la politica monetaria non basta

È giunta l'ora che l’ortodossia economica bruci ancora qualche libro e tiri fuori dal cappello politiche fiscali (antivirus) in grado di affrontate l'emergenza

Città deserte, industrie ferme, crollo delle Borse. Serve un'azione coordinata tra gli Stati (Keystone9
10 marzo 2020
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L’epidemia di coronavirus avanza. E con essa le conseguenze a vari livelli: sanitario, sociale ed economico. Su questo ultimo aspetto vale la pena soffermarsi. Le notizie poco rassicuranti degli ultimi giorni contribuiscono ad alimentare un problema oggettivo che incombe sull’economia globale: l’inizio di una fase recessiva. Come stanno reagendo i vari Paesi di fronte a questo scenario? La risposta (da manuale) della Federal Reserve non si è fatta attendere: taglio ‘urgente’ di mezzo punto del tasso d’interesse. Dietro la Fed sono corse al ribasso anche le banche centrali dell’Australia e del Canada. Molto probabilmente anche la Banca centrale europea, la Banca d’Inghilterra e la nostra Banca nazionale – che hanno già i tassi ai minimi storici – si uniranno al trend ribassista. Ma la sola politica monetaria ultra espansiva non è la soluzione giusta. Un articolo apparso settimana scorsa sul ‘The Economist’ avverte che gli strumenti monetari non saranno sufficienti a evitare la recessione globale indotta dalla diffusione del Covid-19.

Si può aggiungere che, oltre a non bastare, l’ennesima spinta monetaria comporta pure un altro rischio: quello di fare ricomparire l’inflazione (leggere impennate si sono già verificate in alcuni Paesi dell’area Ocse). Bisogna dire che c’è chi da un po’ che la invoca: durante l’ultimo decennio i cosiddetti monetaristi si sono “spaccati la testa” osservando come la massiccia iniezione di liquidità fatta dalle banche centrali non abbia determinato un’ondata inflazionistica. Per loro l’equazione è semplice (e non vedono l’ora di corroborarla): l’emissione crea inflazione. In questi anni però non è stato così. E questo lo si spiega perché gli interventi delle principali banche centrali post crisi ‘subprime’ del 2008 sono stati accompagnati da una crescita piuttosto sostenuta del volume dell’attività economica mondiale, senza che essa abbia tra l’altro esercitato pressioni sul mercato del lavoro (i salari sono rimasti fermi). 

Perché ora, in un contesto recessivo, ci potrebbe dunque essere uno spiraglio inflazionistico? Sarebbe una sorta di ‘effetto collaterale’. Spesso i monetaristi dimenticano che la correlazione tra la massa monetaria e il livello generale dei prezzi è moderata dalla velocità di circolazione del denaro. Allo stato attuale il coronavirus sta paralizzando i consumi (per cui scende fortemente la velocità di circolazione del denaro), mentre il credito e gli investimenti azionari (la speculazione finanziaria insomma) vengono artificialmente “incoraggiati” dalla politica monetaria. Esiste pertanto la possibilità (teorica se si vuole) che il tentativo di combattere le conseguenze economiche del Covid-19, soltanto tramite lo strumento monetario, si riveli addirittura un boomerang che finisca per portare l’economia mondiale verso lo scenario peggiore: quello della stagflazione (recessione più inflazione).

Sarà forse il caso che l’ortodossia economica, dal segretario del Tesoro americano Steve Mnuchin in giù (compreso il nostro Christian Vitta), bruci ancora qualche libro e, oltre a tagliare i tassi d’interesse, tiri fuori dal cappello politiche fiscali in grado di affrontare l’emergenza. Serve, insomma, una politica coordinata tra gli Stati che dia spazio a una vera economia antivirus.

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