Commento

Il giornalismo sportivo e quella saccenza a fin di gloria (propria)

Basta convincersi di saperne più degli altri, non avere paura di apparire supponenti, e il giochino è presto fatto: la macchina delle facili profezie si mette in moto

18 febbraio 2020
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L’iperbole, o la semplice esagerazione, è un esercizio comodo, perché non presuppone competenze di sorta. In ambito sportivo, basta dire di sapere, convincersi di saperne più degli altri, non avere paura di apparire saccenti e supponenti, e il giochino è presto fatto: la macchina della celebrazione o delle facili profezie si mette in moto.

È diffusa la corsa alla scoperta del talento, per poi rivendicare il diritto di dire ‘la prima intervista gliel’ho fatta io, quando ancora non era nessuno’. Oppure ‘sono stato il primo a scrivere che avrebbe sfondato. Ora tutti bravi a salire sul carro’.

Mania di protagonismo, molto diffusa. Parte del gioco nel quale cronisti, analisti e specialisti amano cimentarsi, dall’alto di competenze tecniche a volte certificate (solitamente, chi le ha ‘ci prende’ e non spara a salve), altre solo millantate, ma poco importa, basta avere spazio da riempire in una pagina di giornale, mettere la firma in una rubrica su un sito o un forum, disporre di un paio di minuti in una trasmissione televisiva, o radiofonica che sia.

Molti anni fa – e ricordare che sono davvero molti rende tutto ancora più clamoroso, visto che l’oggetto delle profezie è ancora in attività – uno degli esercizi che andava per la maggiore fu il ‘de profundis’ a Roger Federer. C’è chi aveva preparato il ‘coccodrillo’ (in gergo, le pagine di giornale che si redigono prima che l’oggetto dello scritto prenda commiato da questa valle di lacrime, o smetta di fare quello per cui è diventato una celebrità) per onorarne la carriera, una volta appesa la racchetta al chiodo. Succedeva nel 2008, l’anno in cui il Sommo (sempre sia lodato) smise di essere invincibile concedendosi il diritto a una sconfitta, di tanto in tanto. Alla prima di queste, si levarono in volo stormi di gufi, echeggiarono nell’aere dell’informazione gli strepiti nefasti di cassandre, creature mitologiche invise ai più in quanto preveggenti terribili sventure. Terribile come la fine della carriera del Sommo, che qualche esperto giudicò prossima più o meno dodici anni (e qualche titolo vinto) fa. A che scopo, sbilanciarsi ? Per poter ribadire al mondo che ‘lo dicevo io, che era finito’.

Mai profezia fu più avventata, ma ci cascarono in tanti, traditi da una fastidiosa supponenza. Buon per loro che fu ben presto dimenticata, poiché di certi articoli, o di certe voci, il mondo si dimentica in fretta, tanto è veloce e anche un po’ caotico il mondo dell’informazione. Reato prescritto in tempi brevissimi, il giudizio avventato. Il tempo di voltare pagina (di giornale) o di uno ‘scrollo’ (licenza poetica, mala tempora currunt) sul cellulare. Fino alla prossima sentenza definitiva.

Occhio, però, perché l’enfasi può rivelarsi traditrice. Il mondo dello sport è zeppo di meteore entrate a piedi pari e uscite con le ossa rotte, vittime di aspettative esagerate che, se mal gestite, possono rivelarsi un fardello insopportabile, preludio a una caduta tanto rapida quanto lo era stata l’ascesa. Ma non è nemmeno sempre colpa di chi il fenomeno lo gonfia. Capita anche che l’aspirante campione la pressione la regga benissimo, ma che non sfondi comunque. Il motivo? Perché campione non è. In quel caso, l’analisi superficiale non arreca danni, se non alla credibilità dell’autore. Tuttavia, la mancanza di ripercussioni non giustifica la fretta né i giudizi sommari, figli del momento, del guizzo estemporaneo, del bagliore che viene subito meno, cerino e non torcia. Chi vuol farne virtù, sappia che ci sono limiti. La cui presa è momentanea, né più né meno come il numero a effetto spacciato per talento.

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