Commento

La cultura rende felici?

Meglio toglierci dalla grettezza mercantile e della politichetta alimentata dal concime dell’ignoranza!

24 gennaio 2020
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C’è l’ignorante costituzionale e c’è poco da sperare: conoscenza e cultura sono il superfluo o roba di sinistra. C’è l’ignorante razionale, e non è un ossimoro: sostiene che spendere per conoscenza o cultura serve a niente se non si producono soldi, se non c’è riscontro economico immediato. A quest’ultima categoria appartengono i sostenitori del ‘benaltrismo’: ci son ben altri settori in cui investire; lavoro, salute, sicurezza, altro che cultura! Tra i fenomeni che politicamente si sottovalutano, anche dalle nostre parti, c’è poi il furoreggiare di movimenti che hanno trovato, con i social media, il modo di promuovere l’ignoranza o l’anticultura come ‘valore popolare’, ricevendone in cambio gratitudine e voti di chi vi scopre una sorta di liberazione.

Visiti la Pinacoteca Zuest a Rancate (mostra da non perdere, dall’assunto originale, su ‘Pittura, incisione e fotografia nell’Ottocento’) ed una giovane ti aggancia, tablet alla mano, chiedendoti se può porti alcune domande. Intuisci che sta indagando sul possibile rapporto tra cultura (la pinacoteca, la sua presenza, le sue attività) e l’economia o il cosiddetto “indotto economico” (ti sei fermato nella regione, come vi sei giunto, hai frequentato ristoranti, vi hai pranzato?). Hai il sospetto che si sta cercando una risposta a chi sostiene che per la cultura si spende troppo, che è un non-senso economico. O al cultore del benaltrismo (altre dovrebbero essere le priorità di spesa!) o a chi riscopre ardore göringhiano (da Göring: “Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola”; espressione forse troppo citata, ma rimessa ora in circolo da altri paranoici che governano).

È giusto e democraticamente accettabile porre sempre in correlazione la spesa per la cultura e la resa economica o l’indotto economico, se accettiamo che la cultura è arricchimento ed emancipazione della persona e della vita civile, non monetizzabile, tanto meno a breve termine, come pretende la contabilità economica o l’ignoranza razionale politica? Prevalessero questo principio, metodo e mercificazione, dovremmo chiudere non solo quasi tutte le istituzioni culturali o di ricerca, ma vari istituti scolastici. Dimenticando anche il passato, da dove siamo venuti e dove rischieremmo di tornare.

Togliendoci quindi dalla grettezza mercantile e della politichetta alimentata dal concime dell’ignoranza, non sarebbe più giusto porsi un’altra domanda, più umana? La cultura rende felici? Se l’era chiesto tempo fa, implicitamente, una meticolosa indagine dell’Uffico federale di statistica (v. Cultura e qualità di vita) e la conclusione che si poteva trarne è che le persone che hanno un’attività culturale sono più soddisfatte nella vita di coloro che non l’hanno. La bassa frequentazione della cultura e le scarse opportunità culturali tolgono molta qualità alla vita e al vivere civile. La cultura, per poter essere praticata, ha un costo, è vero. Se però è componente dell’essenza e della felicità della persona, è anche un diritto (e lo afferma la Costituzione). E allora non è spendendo 30 centesimi per abitante, una cicca (calcolo federale), che si garantisce quel diritto. Che va invece esteso, ‘democratizzato’, permettendo a tutti, prescindendo dal reddito personale disponibile, di goderne.

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