Commento

Le mani sulla Libia (il rompicapo)

Esercizi per risolvere un rebus politico-strategico complicato (chiedere a De Gaulle)

La settimana enigmistica (Keystone)
30 dicembre 2019
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Se volete esercitarvi sul rompicapo vicino-orientale, chiedetevi perchè la Turchia – che già impegna parte del suo esercito nell’occupazione del Kurdistan siriano – sta decidendo se inviare i suoi soldati anche in Libia. Domandatevi anche come mai la Russia – a sua volta già militarmente attiva a fianco del dittatore di Damasco – si prepari anch’essa ad intervenire nell’inferno di Cirenaica e Tripolitania.
Ma non basta, perché adesso ecco la domanda di tutte le domande: perché Mosca ed Ankara (che vanno a braccetto nella “pacificazione” a danno dei curdi siriani abbandonati dagli Stati Uniti) accetterebbero di ritrovarsi su fronti opposti e minacciosamente rivali in quello che – quando ancora non se ne conoscevano le enormi riserve petrolifere – qualcuno definì “lo scatolone di sabbia”.

Vi sembra un rebus politico-strategico troppo complicato? Non preoccupatevi, persino De Gaulle nelle sue memorie parlò di “Oriente complicato”. E allora complichiamolo ancora un po’: come mai l’Europa – che in Libia ha vitali interessi economici, e la teme quale ‘serbatoio’ di centinaia di migliaia di profughi disperati e maltrattati – non si muove o si muove con ritardo, col rischio di lasciare campo libero al califfo Erdogan e a zar Putin, ormai protagonisti della crisi nord-africana?

A ogni domanda c’è una risposta. I Paesi dell’Ue inseguono affannosamente gli eventi dopo che, nei nove anni dalla caduta e dall’assassinio di Gheddafi, si sono occupati soprattutto di farsi lo sgambetto per appropriarsi delle ricchezze energetiche libiche. La Turchia di Erdogan vuole realizzare il suo progetto espansivo neo-ottomano, e, a fianco del primo ministro di Tripoli al-Sarraj, cerca di salvare un governo fragile ma che rappresenta i Fratelli Musulmani, da lui tanto amati. Mentre la Russia di Putin – che nella totale indifferenza ha già sul posto un migliaio di mercenari del “Gruppo Wagner” – intende consolidare la sua presenza nei “mari caldi” (Mediterraneo) e si schiera invece col generale Haftar, la cui offensiva militare dura inutilmente da nove mesi nonostante l’appoggio (politico o in armi) di una fitta schiera di sponsor (Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Russia, Francia, e un po’ anche gli Stati Uniti). Un polverone di interessi strategici contrapposti, e forse (come già in Siria) una nuova guerra per procura e ad alto rischio.

Ma attenzione: non è affatto automatico che, trovandosi su schieramenti opposti, Putin ed Erdogan si sparino addosso. Anzi, è improbabile. I due mica vorranno rovinare un’alleanza di fatto che ha già allontanato Ankara dalla Casa Bianca e l’ha sempre più avvicinata al Cremlino. Possono, zar e califfo, tentare di spartirsi le relative aree di influenza libiche, cercando di escludere l’Europa. Ma la Libia – con i suoi innumerevoli clan tribali – può rivelarsi ancor più complicata della Siria. E il gioco delle nuove potenze può facilmente sfuggire di mano.

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