Commento

Economia, l’incertezza è una costante

La Svizzera ha chiuso il 2019 con una frenata, ma è stata evitata la recessione preconizzata da molti specialisti e commentatori

27 dicembre 2019
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L’economia svizzera ha chiuso il 2019 con una frenata, rispetto alle prospettive dello scorso anno, ma la possibile recessione da molti economisti e commentatori preconizzata è stata evitata. Per i principali centri di ricerca come il Kof, Bak e Seco, il Pil elvetico crescerà a un tasso superiore all’1%. Non si tratta sicuramente di progressioni da boom economico, ma si è comunque in territorio positivo. Certo, alcune tematiche che da ormai un paio di anni monopolizzano il dibattito pubblico continueranno a rendersi protagoniste anche nei prossimi mesi: la guerra commerciale tra Usa e Cina e l’imminente uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Sono due vicende che influenzeranno anche le scelte economiche delle imprese svizzere visto che Gran Bretagna e Stati Uniti rappresentano mercati importanti per l’export elvetico. I rischi di una Brexit disordinata sono però diminuiti. L’evoluzione dei rapporti tra Londra e Bruxelles, quindi, è un fatto che giocoforza interessa anche noi. Gli accordi anglo-elvetici denominati ‘mind the gap’ (letteralmente colmare il divario) regoleranno, dal punto di vista giuridico, le relazioni bilaterali tra i due Paesi che attualmente sono principalmente basate sugli accordi Svizzera-Ue. Questi ultimi dopo quasi un ventennio sono destinati comunque a evolvere, con o senza il famoso accordo quadro istituzionale. A maggio, inoltre, si voterà di nuovo sulla libera circolazione delle persone con l’intenzione dichiarata di farla saltare. I promotori dell’iniziativa l’hanno denominata, non a torto, ‘Swissexit’. In caso di accettazione, sarà certamente un fattore che potrebbe cambiare le carte in tavola non solo da un punto di vista politico.

Per rimanere alle prospettive economiche globali, stando sempre agli esperti, le probabilità di assistere a un accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina sono aumentate e questo nonostante il presidente Donald Trump si trovi alle prese con una procedura politica d’impeachment. Anzi, proprio questo fattore – unito alla campagna presidenziale con la quale Trump mira a un secondo mandato – potrebbe imprimere ai negoziati sino-cinesi un’accelerazione e alla politica economica un’impronta più espansiva con l’obiettivo di stimolare ulteriormente l’economia interna: ulteriori tagli fiscali e politica monetaria espansiva da parte della Federal Reserve non sono quindi da escludere. Sono più incerti, invece, i rapporti commerciali tra Unione europea e Stati Uniti. Un’escalation dei dazi sulle merci europee non è da escludere, con effetti collaterali negativi sui prodotti elvetici.

Anche da questa parte dell’Atlantico, con la rinnovata presidenza della Banca centrale europea ora in mano a Christine Lagarde, la normalizzazione monetaria è ancora lungi dall’essere a una svolta. I tassi d’interesse, quindi, rimarranno ancora a lungo prossimi allo zero e di conseguenza pure la Banca nazionale svizzera avrà le mani legate in tema di tassi che rimarranno in territorio negativo. Anzi, non è escluso che l’istituto di emissione allenti ulteriormente la politica monetaria per sostenere il tasso di cambio franco-euro ormai prossimo alla parità e che penalizza l’export svizzero. L’economia ticinese anche se ha peculiarità tutte sue (prossimità con l’Italia in crisi politica ed economica da anni) e non essendo, per fortuna, un’isola a sé stante come alcuni auspicano, sarà influenzata dalle dinamiche nazionali e da quelle internazionali, vicine e lontane.

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