Commento

Ticinesi, i più longevi al mondo

Ci ha salvato l’immigrazione; senza di essa, matematica alla mano, nel giro di qualche decennio saremmo già estinti

Giovane dentro
5 dicembre 2019
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Di una sola accelerazione siamo certi: l’invecchiamento. Il Ticino è il cantone con la più alta proporzione di anziani. I ticinesi, roba da non crederci, figurano ormai tra i più longevi del mondo. I pensionati d’Oltralpe vi arrivano a frotte sicuri di allungarsi la vita. Siamo un paese per vecchi. Si muore meno (in trent’anni i tassi di mortalità si sono dimezzati). Si nasce anche molto meno, come se qualcosa si fosse rotto. Il tasso di natalità (figli per donna) non assicura il cambio generazionale ed è il più basso tra i cantoni. Sinora ci ha salvato l’immigrazione; senza di essa, matematica alla mano, nel giro di qualche decennio saremo in via d’estinzione (mi appiglio a un completo e fondamentale studio “Vivere sempre più a lungo in una società in via di estinzione”, di Elio Venturelli, già direttore dell’Ustat).

Il Segretariato per l’economia (Seco) ci dice, sulla base di quattro studi comandati, che siamo in linea con ciò che capita in tutta la Svizzera. Ci si pone però in un’ottica che, a pensarci bene, appare un po’ strabica per l’unica nefasta conseguenza che si prevede. E cioè lo sprofondamento del Pil, del prodotto interno lordo, della crescita economica, della riduzione della ricchezza aggiunta. Con pochi settori che riuscirebbero ancora a creare valore aggiunto. E sono quelli che, paradossalmente, confermano l’invecchiamento: i settori della salute, della ospitalità medico-sociale, dell’azione sociale, della farmaceutica. Può essere solo questo il modo di vedere un problema che è di società e non solo economico?

Si rileva, e non è una gran trovata, la correlazione tra struttura demografica e livello di vita o benessere. Per porre rimedio al disfacimento in atto si prospetta in concreto una sola soluzione: lavorare di più. E auguri a tutti. Quanto a dire: ritardare l’età del pensionamento, incoraggiare a continuare a guadagnare soldi, facilitare la compatibilità tra vita attiva e famiglia in modo da attrarre più donne nel mercato del lavoro e – per logica matematica inevitabile o realtà irrinunciabile e salvifica – ricorrere all’immigrazione di gente sana e produttrice.

Il rimedio, ancor prima di esserlo, è già una non voluta dichiarazione di fallimento. Le indagini sul mercato del lavoro appena apparse ci dicono che se già a cinquant’anni ti trovi licenziato o disoccupato, per le immancabili devastanti ristrutturazioni o informatizzazioni, campa cavallo che ritroverai un posto adeguato e che potrai guadagnare almeno come prima. Le analisi sui salari, apparse in questi giorni, ci dicono che i salari reali o indietreggiano, come lo scorso anno, o non aumentano neppure quanto i premi delle casse malati. Le analisi sulla ripartizione dei redditi ci dicono che la ricchezza si accumula da una parte (capitale) generando disparità di reddito e concentrazioni di patrimoni che minacciano persino la democrazia. Attirar le donne nel mercato del lavoro continuando, nonostante Costituzione e rimostranze, a ritenerle inferiori, a vederle di malocchio o escluderle se rimangono incinte o lontane per maternità, a elemosinare sulle strutture adeguate di sostegno, a mai considerare il valore del lavoro domestico o di formazione dei figli (che non è considerato dal Pil, come valore aggiunto, anche se vale centinaia di miliardi!), sa di gioco al bussolotto. Tornare poi a farci votare per l’ennesima volta sulla dannata immigrazione che ci toglie identità e lavoro, non solo è una triste barzelletta, ma rischia di toglierci anche la speranza di non dissolverci.

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