Commento

Diritto di voto violato e schede tardive

Nell'aria aleggia un possibile ricorso contro l'esito del ballottaggio che mette in serio dubbio l'istituto stesso del voto per corrispondenza

(Archivio Ti-Press)
23 novembre 2019
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Ora che il verbale di accertamento dei risultati del ballottaggio per il Consiglio degli Stati è stato pubblicato sul Foglio ufficiale, si apre la possibilità di un ricorso contro tale esito che – lo ricordiamo – ha visto Marina Carobbio prevalere su Filippo Lombardi per soli 46 voti. Non ci vuole né molto acume politico, né troppa cultura giuridica per immaginare che l’istanza presentata praticamente all’indomani del fine settimana elettorale – e accolta dal Consiglio di Stato – è un atto preliminare a una via giudiziaria. In sostanza l’istante Gianluca Padlina, presidente dell’Ordine degli avvocati del Cantone Ticino e ‘casualmente’ consigliere comunale Ppd a Mendrisio, ha chiesto e ottenuto che i Comuni non distruggessero le buste elettorali giunte dall’estero dopo la chiusura delle urne, ma con timbro postale antecedente.

Siamo in uno Stato di diritto ed è quindi perfettamente lecito che eventuali torti, anche elettorali, vengano corretti davanti a un giudice. Il tema sollevato da Padlina è però per certi versi capzioso: la violazione del principio costituzionale del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero. O meglio l’impedimento di questo esercizio dovuto a ritardi postali nella consegna del materiale di voto. Per carità, è nella natura della professione forense sollevare dubbi. Un bravo avvocato deve fare gli interessi del suo cliente. Solo che nel caso concreto del presidente dell’Ordine degli avvocati non si capisce bene chi sia il cliente: l’interesse generale di tutti gli elettori o quello particolare di un esponente di peso del suo partito uscito sconfitto – anche se di misura – dalle elezioni? Fatto sta che il tema sollevato è noto e serio. Votare per corrispondenza comporta dei rischi, sempre. Si voti in patria o dall’estero. La segretezza del voto non è garantita e nemmeno si può accertare che le schede affidate ai servizi postali nazionali o stranieri arrivino per tempo a destinazione, sia essa l’urna elettorale o il recapito dell’elettore. Insomma, servono sicuramente dei correttivi per migliorare la possibilità di espressione del voto di chi non può recarsi fisicamente al seggio. Si è parlato a più riprese del voto elettronico a distanza e test in tal senso sono stati effettuati in altri Cantoni, ma anche in questo caso non si è riusciti a fugare i dubbi insiti in una possibile violazione delle reti informatiche. Hacker interessati sono sempre dietro l’angolo e l’ultimo esperimento fallito della Posta svizzera lo dimostra: la sicurezza al 100% non esiste. Inoltre, altro aspetto da tenere in considerazione, non sono soltanto i ticinesi residenti all’estero le potenziali vittime di un’erosione di diritti e non solo per l’ultimo ballottaggio. Dall’estero si vota anche per iniziative, referendum ed elezioni cantonali. In altri Cantoni, infine, il secondo turno si è tenuto a distanza di soli quindici giorni dal primo. Un lasso di tempo giudicato quindi congruo dalle autorità locali per i loro cittadini residenti all’estero aventi diritto di voto. Se la tesi dell’avvocato Padlina dovesse essere accettata da un tribunale, sarebbe l’istituto stesso del voto per corrispondenza a essere messo in discussione, a maggior ragione quando a decidere l’esito di una contesa elettorale è soltanto una manciata di schede.

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