Commento

Rytz in corsa per il Governo, doppia responsabilità per i Verdi

La discussione sulla formula magica non va forzata. E il partito ecologista affronta una sfida cruciale per il suo futuro.

(Keystone)
22 novembre 2019
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Se guardiamo a numeri e percentuali, non v’è dubbio: i Verdi – da soli o assieme ai Verdi liberali, e pur al netto in quest’ultimo caso delle divergenze talvolta profonde tra i due partiti su tutto quel che non è politica climatica – hanno ragione nel rivendicare un consigliere federale a “zero emissioni nette”. Il problema non è tanto se la richiesta è legittima o no; e da ieri non è nemmeno più chi dovrebbe essere il primo consigliere federale ecologista: in giro non si vedono candidate più idonee della presidente dei Verdi Regula Rytz, che ieri ha rotto gli indugi e il prossimo 11 dicembre (da sola o in tandem, lo deciderà oggi il gruppo parlamentare) tenterà di strappare al Plr il seggio di Ignazio Cassis (cfr. p. 2).

Il punto, invece, è il quando. Il partito che ha compiuto un balzo avanti senza precedenti nella storia di questo Paese, già adesso deve «assumere la responsabilità» di governare? Deve adempiere subito il «mandato» popolare (la stessa parola che usò Christoph Blocher nel 2003...)? Oppure è meglio attendere: che un consigliere federale si ritiri, che ‘maturi’ in Parlamento (provando di essere capace di promuovere soluzioni consensuali), o che alle prossime elezioni confermi di non essere più il partito dello yo-yo?

L’onda verde è stata impetuosa; le aspettative nei confronti dei vertici del partito subito elevate. E così la circospezione, se non la riluttanza iniziale, ha via via lasciato spazio a dichiarazioni sempre più velleitarie. Non importa se nel frattempo i ballottaggi per il Consiglio degli Stati hanno smorzato un po’ gli entusiasmi: la dinamica era innescata, a un certo punto indietro non si poteva più tornare.

Forse non si può chiedere a un partito di essere responsabile anche nei confronti delle istituzioni, oltre che delle sue elettrici e dei suoi elettori. Sarebbe ingiusto, pertanto, criticare i Verdi perché adesso vogliono cambiare una formula magica di governo che di magico non ha più nulla da tempo. La discussione su una più adeguata composizione del Consiglio federale è più che mai opportuna, e va avviata al più presto tra i partiti. Non va però forzata, surfando – a poche settimane dal prossimo rinnovo del Governo – sull’onda emotiva di un pur eccezionale risultato elettorale e limitandosi a fare due calcoli. Qui si va a toccare un tabù: quello della ‘destituzione’ di un consigliere federale in carica. E per queste cose (basti ricordare cos’hanno provocato le estromissioni di Ruth Metzler nel 2003 e di Blocher nel 2007) è meglio darsi tutto il tempo che ci vuole.

Non è solo una questione istituzionale. In gioco vi è anche il futuro dello stesso partito ecologista. Come il Ps nella prima metà del secolo scorso, i Verdi – da forza contestataria quale sono sempre stati – ora vogliono entrare in Governo, giocare il gioco della concordanza al più alto livello dello Stato. Se vi riusciranno, saranno costretti a scendere a compromessi: sull’età di pensionamento, sulla politica europea, sugli aerei da combattimento, e via dicendo. Una sfida, per un partito che ha nel dna lo spirito d’opposizione, e che in questa legislatura ha più volte giocato (con scarso successo) le carte dell’iniziativa popolare e del referendum. I Verdi, per giunta, si consegnerebbero al Ppd. Solo col suo sostegno, infatti, possono far eleggere uno dei loro in Consiglio federale. Un’ipoteca di non poco conto.

Difficile che il partito di Gerhard Pfister si presti al gioco. Se lo farà, guadagnerà potere anche in Governo. Si assumerà però al contempo una grossa responsabilità: quella di aver cambiato in quattro e quattr’otto le regole del gioco, facendo esplodere la formula magica. Fu il suo segretario generale Martin Rosenberg a concepirla negli anni 50. Ma gli ci vollero anni prima di vederla messa in pratica.

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