Commento

Lettera a Hevrin, martire curda

23 ottobre 2019
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Hevrin, si sta già sgranando la foto del tuo volto, sfuma nella nostra memoria, lentamente, ma inesorabilmente. Il tuo, un volto bello e solare, che ha fatto il giro del mondo. Eri una militante curdo-siriana, leader di un piccolo partito, paladina dei diritti delle donne e della riconciliazione nazionale. In famiglia dicono che per questo avevi rinunciato alle armi, imbracciate da altre giovani curde. Che importa se i tuoi carnefici lo sapevano oppure no? Ti hanno trascinata fuori dall’auto, fragile preda di guerra, massacrata sul posto, finita nelle mani degli sgherri arabi pro-turchi e jihadisti, per ferocia pari ai tagliagola dell’Isis. Tagliagola sconfitti, anche se non cancellati, soprattutto grazie al vostro coraggio. Che però, per nostra vergogna, non impedisce che da eroi ammirati diventiate vittime dell’ennesimo tradimento.

Tu, Hevrin, dovevi conoscere bene la storia di questa implacabile doppiezza. Del colonialismo franco-britannico che dopo qualche frettolosa promessa aveva tracciato i confini della regione, escludendo la possibilità che voi, un popolo, aveste una patria, una homeland, come si disse e si fece invece per gli ebrei. Doppiezza di tutte le cinque nazioni in cui siete dispersi, a parole fragili promesse di fragili autonomie, che invece si traducevano puntualmente in feroce repressione. E vittime, anche, delle vostre litigiose leadership, dei Barzani e di altri clan tribali, colpevolmente incapaci di saldarsi in un progetto politico unitario nel nord di Siria e Iraq.

Per questo, Hevrin, penso che nella sigla del tuo mini-schieramento di volonterosi spiccasse la parola “futuro”. Quello sguardo che chiede di storicizzare le tragedie, senza negarle, ma evitando di tormentarsi e paralizzarsi su di esse, per procedere verso un avvenire diverso. Generosa ingenuità. Con un delirante neo-sultano alle porte, Erdogan, il truce ricattatore dell’inesistente Europa, l’invasore che lasciava transitare gli sgherri dell’Isis e le loro armi, come documentò un giornalista turco naturalmente finito in manette. Praticamente autorizzato, l’autocrate di Ankara, dal collerico e irresponsabile capo della Casa Bianca, con le ridicole, beffarde esternazioni in cui si è esibito dopo aver accettato, anzi promosso, l’occupazione militare: per lui conta la forza, proprio come per Israele in Palestina.

Non potevate ignorarlo, Hevrin, ma vi siete fidati. Obbligati a farlo. Per salvarvi, aggrappandovi ancora ad un sogno sempre spezzato. Di nuovo abbandonati, come quando Bush padre vi lasciò a lungo sotto le bombe di Saddam; come quando lo stesso rais e lo scià iraniano decisero uno storico accordo sulla vostra pelle; come quando ad Halabja i gas nervini fecero una strage di curdi dopo che l’imbarazzato Occidente aveva super-armato Baghdad per scagliarla contro l’Iran di Khomeini.

Approfittando del caos regionale, vi eravate ritagliati fette di precaria indipendenza. Al prezzo di morti, feriti, distruzioni da parte dell’Isis. Così in Rojava, il nord siriano, avevate fondato un piccolo esercito e un partito, quasi miracolosamente democratico in terre afflitte da regimi dittatoriali e capi autocrati. Naturalmente, ai loro occhi siete pericolosi anche per questo. Perciò dovevate essere fermati. Per mano dell’autocrate di Ankara, che la Nato ‘simbolo di libertà’, si tiene ben stretto; e che si è anche comprato (vedi l’acquisto di missili russi) la compiacente mediazione di super-zar Putin. Fino a quando, chissà. Lo sapete, Hevrin, anche loro sono sempre pronti a tradirsi vicendevolmente. E non importa a quale prezzo. Perché lo pagheranno sempre gli innocenti come te.

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