Commento

Nobel in Africa: a Stoccolma, ci vedono e ci capiscono

La sua azione a favore della pace, della promozione dei diritti delle donne, della libertà di opinione tanto da ottenere il Nobel, può anche servire da stimolo per altri paesi della regione!

Abiy Ahmed Ali (Foto Keystone)
11 ottobre 2019
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Dopo che la Turchia (paese Nato!) ha invaso la Siria (protetta dalla Russia) e nuovi venti di tempesta potrebbero presto soffiare anche sull’Europa – quell’Europa che ha pagato Erdogan per fermare i siriani in fuga – e mentre ci si chiede dove fuggiranno i militanti Isis imprigionati nel nord est della Siria messo a ferro e fuoco dall’attacco turco, da un altro continente giunge una buona notizia. Piccola e grande al contempo: il Nobel per la pace 2019 va dritto in Africa, precisamente a Abiy Ahmed, il premier etiope artefice dello storico accordo di pace con la vicina Eritrea. 

Un innovatore politico, capace di osare e di spegnere un conflitto che durava da quasi trent’anni, focolaio di diaspore e scontri nel corno d’Africa. La sua coraggiosa visione politica lo ha portato a nominare un governo la cui metà sono donne, a scarcerare migliaia di prigionieri politici, a legalizzare il partito d’opposizione, a allentare la censura e persino a far piantare milioni di alberi per contribuire ad arginare i cambiamenti climatici. Di lavoro ne resta molto, ma è un buon inizio.

Per un continente che conosciamo soprattutto per la voglia di emigrare/fuggire (per motivi politici, umanitari, economici) costi quel che costi, viaggiando per mesi dopo aver spesso subito indicibili umiliazioni e affidato la propria vita a trafficanti di esseri umani per raggiungere la terra promessa europea, è una preziosa boccata di ossigeno: a Stoccolma ci vedono e ci capiscono. L’Etiopia, paese poverissimo, balzato alla ribalta della cronaca mondiale fra il 1983 e l’85 per la una spaventosa carestia assommatasi all’instabilità politica (tanti ricorderanno l’immagine del bimbo morente tenuto d’occhio da un avvoltoio), che mobilitò una catena di aiuti umanitari anche grazie ad un maxi concerto, da qualche anno conosce una nuova primavera. Non da ultimo anche grazie a importanti investimenti cinesi, che non sono sempre da benedire, visto che in economia ci si muove se c’è un interesse. 

Che ad Addis Abeba vi sia ora un premier distintosi per la sua azione a favore della pace, della promozione dei diritti delle donne, della libertà di opinione tanto da ottenere il Nobel, può anche servire da stimolo per altri paesi della regione. Cambiare qualcosa (forse) si può. Di riflesso, l’azione premiata di un 'yes we can' africano, aiuta (o aiuterà) anche a smussare qualche tensione sul fronte migratorio, perché quell’ostinato conflitto ha portato tanti eritrei a bussare alle porte della Svizzera e di altri paesi europei in ricerca d’asilo e di una vita che non fosse uno stato di guerra e allerta permanente. 

Addis Abeba significa nuovo fiore. Vedremo quanto fiorirà.

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