Commento

Lauber ha vinto, l'istituzione no

Michael Lauber riconfermato per una manciata di voti alla testa dell'Mpc. Ma la Procura federale d'ora in poi sarà più vulnerabile

(Keystone)
26 settembre 2019
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Il pasticcio s’è ingigantito a tal punto – Michael Lauber dà la colpa ai media, ma chi se non lui ha voluto quantomeno restare su questo piano, evocando in una conferenza stampa una “crisi istituzionale provocata” e attaccando frontalmente il presidente dell’Autorità di vigilanza sul Ministero pubblico della Confederazione (Mpc)? –, dicevamo: il pasticcio s’è ingigantito a tal punto che l’Assemblea federale s’è ritrovata a dover scegliere tra due cattive soluzioni. Poteva – nelle parole di “un osservatore piuttosto inquieto” citato lunedì da ‘Le Temps’ – “rieleggere Michael Lauber, col rischio di perpetuare le forti tensioni esistenti. [O] non rieleggerlo e assumere il rischio istituzionale di indebolire così l’autorità dell’Mpc”. Per un’esigua maggioranza il minore dei mali è questo: rieleggere Lauber per un terzo mandato.

Non è detto però che il minore dei mali non si trasformi, prima o poi, nel maggiore degli incubi. O perlomeno in un esercizio alla lunga estenuante per il 53enne, dal 2011 a capo dell’Mpc e apparso provato ieri dopo la (s)fiducia accordatagli da 129 parlamentari su 244.

L’inchiesta disciplinare avviata nei suoi confronti è appena agli inizi. È evidente che se già ora a Lauber «si taglia la testa, non gliela si può incollare in seguito» (Raphäel Comte, Plr), quando magari si scoprirà che non c’è stato nulla di grave negli incontri ‘segreti’ non verbalizzati col presidente della Fifa Gianni Infantino. Però è altrettanto chiaro che questa è un’indagine disciplinare, non di altro tipo: sarebbe stato auspicabile disporre già di qualche elemento, questo sì. Ma non era indispensabile, dato che il verdetto dell’Assemblea federale è inevitabilmente – ed eminentemente – di natura politica. Emesso nel pieno rispetto delle regole e delle procedure che le istituzioni stesse si sono date, non può venire assimilato a una ghigliottina.

Ha un bel dire chi (Comte) chiede di «non ripoliticizzare» la rielezione del procuratore generale, di non sostituire «un arbitrario» (la competenza che il Consiglio federale aveva fino al 2011) con «un altro arbitrario» (nel senso di abusare di quella che da allora è dell’Assemblea federale). Se è vero che «questa Assemblea federale è responsabile delle istituzioni» (Christian Lüscher, Plr), non per questo deve esimersi dall’esprimere una valutazione politica sulla vicenda. Anzi. Quando lo fa, «il rispetto della separazione dei poteri e dell’indipendenza della giustizia» (Comte) non viene meno. Poi forse è il caso di riattribuire al governo la competenza in quest’ambito. Ma questo è un altro discorso. Che andrà fatto.

Il giudizio politico, quindi. Si può dire molto dei reali o presunti meriti (l’aver consolidato l’Mpc, la buona collaborazione con i ministeri pubblici cantonali ecc.) e dei demeriti (gli scarsi risultati nella lotta contro la criminalità organizzata, per non parlare di quelli pressoché inesistenti in fatto di crimini contro l’umanità) di Lauber. Ma adesso non è questo il punto.

Il problema è che d’ora in poi il procuratore generale sentirà sempre più forte il fiato dell’Autorità di vigilanza sul collo. Non solo. Avrà gli occhi di politici, tribunali (sono attese altre istanze di ricusazione) e media puntati addosso (proprio ieri ‘La Liberté’ ha scritto di “un enigma Credit Suisse”: incontri forse non verbalizzati tra collaboratori dell’Mpc e funzionari della banca nell’ambito di un procedimento penale). L’ombra del sospetto si allungherà.

Non è affatto detto che «il miglior modo di restituire credibilità» all’Mpc (Lüscher) sia stato dare fiducia a Lauber. A noi pare piuttosto che l’istituzione esca fragilizzata dalla sua rielezione.

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