Commento

In questa valle di lacrime

Ha detto bene il cardinale Gualtiero Bassetti: “Incomprensibile e violento”

14 settembre 2019
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“Va negato che esista un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente. Mi rendo conto che questo pensiero ad alcuni sembrerà incomprensibile o addirittura violento”. Ha detto bene il cardinale Gualtiero Bassetti: “Incomprensibile e violento”.

Il presidente della Commissione episcopale italiana è intervenuto con una nettezza che non lascia margini all’interpretazione delle sue parole, e semmai pone una questione di opportunità mentre è in corso l’iter legislativo sul suicidio assistito.

Di nuovo la gerarchia cattolica getta sul tavolo la propria influenza per orientare opinione pubblica e legislatori. Non è questione di legittimità – la Chiesa avrà pure il diritto di dire la sua sui temi che ritiene, non di dettar legge –, ma appunto di opportunità, riconoscendo comunque che è persino arbitrario classificare come opportuno o no un intervento delle porpore, quando non del Papa, a seconda della sintonia col nostro pensiero.

Infatti si tratta d’altro. Di qualcosa di cui sfugge l’umanità, comunque la si intenda: come pietas, amore per il prossimo; o come tutto ciò di cui nel bene e nel male è capace la nostra specie, credenti o no. Una umanità che per ciascuno è un prodotto dell’essere venuti al mondo per scelta o disgrazia altrui, e che ha nella gratuità una condizione necessaria. Dovuta al caso, per atei e agnostici; o perché dono di Dio, per i credenti. Ed è proprio dei doni la gratuità, tanto da rendere difficile pensare a un Dio taccagno che dopo averla data la rivuole indietro.

Poi il discorso potrebbe essere più lungo: che il nostro venire al mondo sia parte di un disegno divino, o evento casuale ma necessario alla prosecuzione della specie, va ammesso che nell’uno e nell’altro caso il nostro ruolo è subordinato a una volontà (celeste o del caso) che ci trascende. Nel nascere, non necessariamente nel morire.

Dove tuttavia Bassetti trovi la corrispondenza speculare tra diritto alla vita e divieto di morire per mano propria, risulta ben oscuro. Forse nella parola di Dio? Quel Dio che tutela la libertà dell’uomo anche quando compie il male ai danni altrui (e non ha fermato gli assassini di suo figlio, di tutti i suoi figli) non dovrebbe avere pietà dell’uomo che non ce la fa più? È forse il terrore l’altra faccia dell’amore di Dio?

Ma poi, Dio o non Dio: che cosa muove coloro che si dicono suoi ministri a farsi arbitri della più sacra, questa sì, prerogativa umana, la libertà di disporre di sé? Dove risiede l’immoralità, l’inaccettabilità di un passo, pur estremo, le cui conseguenze non procurino danno ad alcuno?

Chi trasforma in precetto la “tutela della vita” a dispetto di chi la vive rischia in tal modo di negligere l’amore per le vite una ad una, grandezza o abissi di dolore o di senso perduto, che potrebbero condurre a volerne uscire per decisione propria.

La laicità dello Stato e della legge è poca cosa dinanzi alle interrogazioni sul vivere e sul morire, sulla salvifica illusione del bene e il mistero del male. Ma è il solo argine alla fiumana dei ventriloqui della divinità, quale che sia questa e chiunque essi siano. Va difesa.

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