Commento

Se la strategia lega

Nel secondo trimestre di quest’anno i frontalieri sono infatti aumentati come non mai

12 agosto 2019
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Se la strategia Lega-Udc (con al seguito qualche frangia mimetica di altri partiti) è stata quella di colpevolizzare frontalieri, ritenuti causa dei nostri mali (sottrazione di lavoro ai “nostri”, soggezione al lavoro e slealtà salariale, inquinamento), siamo a una singolare ambivalenza: innegabile che quella strategia sia stata elettoralmente pagante; certo che quella strategia politicamente ed economicamente è un fallimento. Nel secondo trimestre di quest’anno i frontalieri sono infatti aumentati come non mai, più che in altri cantoni frontalieri. In cifre assolute hanno raggiunto un nuovo primato. Il maggior incremento c’è stato nei servizi e nel terziario. Forse ora qualcuno proporrà di sussidiare i robot, che non pretendono oneri sociali e non sono inquinanti, per sostituire i frontalieri in quei settori, facendo un baffo alla Roma seppur leghista.

Se da quando si è cominciato a calcolarlo (rapporto Kneschaurek 1964) uno degli obiettivi capitali per il Ticino è sempre stato quello di raggiungere almeno la parità del salario mediano svizzero, occorre ammettere che dopo mezzo secolo non ci siamo ancora. Il livello salariale medio ticinese è del 14,4 per cento inferiore a quello mediano svizzero. È l’innegabile dimostrazione che siamo sempre in una economia dalla struttura fragile, dove il minor costo del lavoro è la briscola principale. E i frontalieri sono più opportunità sfruttata che causa. La rivelazione della struttura dei salari (da poco apparsa) ci dice che in Svizzera quasi mezzo milione di persone è occupato nella parte più bassa della scala salariale. Il 12 per cento delle persone salariate arriva a malapena ai quattromila franchi lordi mensili che, in termini di economia domestica, è girare attorno alla povertà. Nel Ticino la percentuale di posti di lavoro a salario basso è altissima: quasi il 25 per cento dei posti di lavoro, più del doppio o del triplo che nelle altre regioni svizzere. La percentuale di basso salario è proporzionale alla grandezza dell’azienda: più è piccola, più lo trovi. Lo trovi in particolar modo nei servizi o nel cosiddetto terziario (commercio, amministrazione, industrie alimentari, ristorazione, salute, trasporti, persino istruzione). Tutte caratteristiche e settori che marcano da decenni la struttura economica ticinese.

Il lavoro a tempo parziale è un’altra eccezionalità ticinese. Esso è ormai un primato svizzero in Europa (dopo l’Olanda). È l’anticamera della sottoccupazione e del precariato. In crescita del 30 per cento negli ultimi dieci anni. Raddoppiato però nel Ticino. Accentuerà le conseguenze nefaste sulla società: copertura sociale insufficiente (Avs, cassa pensioni) ricorso inevitabile all’assistenza sociale.

Anche qui si finisce in una singolare ambivalenza. Il Cantone ha giustamente fatto sforzi enormi per migliorare la formazione professionale, con la Supsi che ne è un modello. L’alta formazione se non trova però ricettività in una struttura economica che si sviluppa in maniera altrettanto qualificata, rischia di creare (con l’Alp­Transit) i frontalieri ticinesi per altri cantoni che praticano salari molto più elevati e un’economia più propizia. È ciò che già sta avvenendo e di cui poco si parla. Forse gli sgravi fiscali continuamente promossi per trattenere aziende dovranno essere promossi un giorno per trattenere quei giovani che abbiamo formato con forti investimenti (di cui beneficeranno altri).

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