Commento

Dal duce al ducetto

Non sarà Mussolini, non sarà fascista; ma prima di lui i pieni poteri li pretese solo il duce. E a sempre più elettori sembra una richiesta normale.

10 agosto 2019
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Se “Mussolini ha fatto anche cose buone”, come da qualche tempo si dice senza più vergogna in Italia, vuoi che non si finisca per dire la stessa cosa di questi? Hanno persino “abolito la povertà” (Di Maio dixit), seppellito la Fornero (Salvini).

Ma rimpiangere questo governo, no. Nemmeno i suoi più ferventi sostenitori lo faranno. I grillini perché una dimostrazione più eloquente della loro inettitudine non poteva essere data; i fascioleghisti perché già proiettati in un vagheggiato futuro di potere senza ingombri e senza ostacoli. Si vedrà.

Per intanto, occorre riconoscere che un bilancio dell’esperienza di governo affossata da Salvini è meno facile da tracciare di quanto sembri. Fallimentare, certo, e disonorevole. Ma non basta, se non si fa lo sforzo di mettere in relazione questi quattordici mesi disgraziati con i mutamenti della società italiana di cui sono stati espressione e motore.

Il governo Salvini (poiché Di Maio andrà ricordato soltanto per avere fatto raddoppiare i consensi a chi ne aveva meno della metà dei suoi) è stato il più a destra della storia repubblicana. Ancora più a destra dell’esecutivo Tambroni, 1960, sostenuto dall’appoggio decisivo dei neofascisti dell’Msi. Allora, però, la sollevazione di mezza Italia ne determinò la fine. Si dirà: era un Paese che eleggeva ancora in Parlamento i capi della Resistenza. E non è per nostalgia che il confronto con quello di oggi è impietoso: oggi un governo di estrema destra cade per propria mano, scommettendo sull’impennata di potenziali consensi generata dalla propria radicalizzazione. E vi sono fondate ragioni per ritenere che vi riuscirà.

Addossare ai grillini la colpa di questo sviluppo sarebbe ingeneroso e al tempo stesso fuorviante, essendo loro stessi sintomo e manifestazione dello sconcerto e del disorientamento che si è impossessato di una società rancorosa e divisa. Ma al loro gruppo dirigente – drammaticamente inadeguato, a partire dai loro guru – è giusto chiedere conto del degrado di cui sono corresponsabili. Propostisi come forza rivoluzionaria, libertaria, rigeneratrice, sono stati gli utili idioti di un disegno reazionario e autoritario che ha avuto agio per consolidare le proprie fondamenta. A partire dalla scandalosa demonizzazione dell’immigrato.

Si potrebbe anche ragionare sulle inquietanti affinità tra lo stato di polizia tanto caro a Salvini e l’utopia informatica della Casaleggio Associati. Ma questo un’altra volta. Per ora basti constatare il suo più prosaico risultato: l’aggravata marginalizzazione di un Paese nel quale il distacco tra “politica” e “gente” (al cui rigetto si fa superficialmente risalire l’ascesa dei movimenti populisti) si è ribaltato in una “gentificazione” della politica, trionfo di pulsioni e cinismo. Dei quali è campione il Salvini, vincitore del momento.

Tanto sicuro di esserlo anche domani, da spingersi a chiedere agli italiani “i pieni poteri”. Ora: non sarà Mussolini, non sarà fascista, come si ostinano a precisare gli storici; ma prima di lui i pieni poteri li pretese solo il duce e li esercitò il fascismo. E a sempre più elettori sembra una richiesta del tutto normale. Anche così si suicida una democrazia.

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