Commento

Se la Terra scotta...

Anche oggi temperature da record. Come ieri e come domani. In parole povere, ecco servito il riscaldamento globale che qualcuno continua a negare.

Venerdì verrà presentato un rapporto all'Onu che dice che il clima cambia ma non per tutti allo stesso modo (Keystone)
27 giugno 2019
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L’Europa scotta. Anche oggi temperature da record. Come ieri e come domani. Caldo africano che ci fa tornare alla memoria la torrida estate del 2003 e ci fa scorrere sotto gli occhi i bollettini meteo bollenti, che spiegano come le correnti che prima erano orizzontali ora sono verticali e che all’anticiclone delle Azzorre si sono sostituite lingue di caldo provenienti dall’Africa. In parole povere, ecco servito il riscaldamento globale che qualcuno continua a negare. Si moltiplicano così anche le allerte da parte di enti pubblici, che consigliano sul da farsi (bere, bere e bere e muoversi molto poco in certe ore).

In Germania le alte temperature hanno obbligato a introdurre limiti di velocità. Si teme il ‘blow-up’, cioè il dilatamento delle lastre di cemento sulle strade con il rischio che i bordi si rialzino e si aprano crepe. In Francia, provocando qualche disagio alle famiglie che avevano già prenotato le vacanze, si sono spostati di qualche giorno gli esami di scuola media.

Intanto, sempre in tema di effetti del clima, è stato reso pubblico un rapporto indipendente dell’Onu che fa riflettere. Philip Alston (relatore per le Nazioni Unite su povertà e diritti umani), lo presenterà venerdì al Consiglio Onu per i Diritti umani a Ginevra. Un rapporto che ci dice cosa?

Che il clima cambia, ma non per tutti allo stesso modo! C’è (e ci sarà) chi si potrà salvare dagli stravolgimenti. Basterà essere benestanti e avere quindi soldi per schivare lo schianto. Almeno all’inizio. Ci sarà quindi una sorta di ‘apartheid climatica’, perché per sfuggire alle bizze del tempo (temperature calienti, uragani, piogge torrenziali e danni all’ambiente) basterà trasferirsi dove gli impatti dei mutamenti saranno inferiori, se non persino inesistenti. Chi non potrà pagarsi la fuga dagli squilibri dovrà convivere coi cambiamenti. Ma, come andrà la storia, lo possiamo già immaginare. I poveri e i disperati – muri o non muri, mari o non mari – si sposteranno. Lo abbiamo fatto noi nei secoli con l’emigrazione oltre oceano e oltre le Alpi, spinti pure dalla miseria, e lo fanno già adesso i migranti, spinti dalla stessa fame e dalla stessa speranza di poter avere – anche al costo di affogare nel Rio Grande – un futuro migliore. Un futuro che per la prima generazione significa spesso anche solo pura sopravvivenza, ma che per le generazioni che seguono, maggiormente integrate, significa il riscatto e un posto al sole (economico/sociale/politico). Il rapporto dell’Onu – che annuncia come il 75% dei costi del clima ricadrà sulla metà più povera della popolazione, responsabile del 10% delle emissioni di anidride carbonica – ci deve quindi interpellare anche come cittadini (e come politici), perché scenari di migrazioni indotte dalla fame, dalle carestie, dalle guerre, dall’accresciuta siccità (o dalle siccità causate da faraoniche dighe che abbiamo costruito nei loro paesi con la complicità di locali oligarchie) e dalla perenne speranza di un Bengodi da qualche parte, rischiano di fornire argomenti (ingiusti e incendiari) a chi già oggi predica di blindare i confini per difendere a muso duro la nostra ricchezza, altri elementi per fomentare paure e teorie di esclusione. Detto in poche righe: chi sta vivendo abbondantemente al di sopra delle proprie possibilità e di quelle offerte dall’ambiente in cui viviamo? Noi, a scapito di due terzi dell’umanità che negli ultimi decenni ha cominciato a bussare alle nostre porte. La sfida, l’Onu lo scrive, è lanciata e non c’è scelta: va raccolta.

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