Commento

Quando andare a scuola (non) serve

“Perché studiamo se un futuro non lo abbiamo?”. In una domanda il no a un paradosso tragico e il valore di uno sciopero giusto, anche senza dispensa del Decs...

Ti-Press
27 maggio 2019
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C’erano lucidità e consapevolezza – una precisa visione del futuro – negli slogan che molti giovani venerdì hanno riportato in piazza, anche a Bellinzona. Iniziamo col rinunciare a chiamarli ambientalisti, come se questa etichetta, spesso dispensata con malcelata malignità, certificasse l’appartenenza a un movimento politico o a una sorta di setta integralista e inconsapevole degli equilibri su cui si regge il pianeta (e il nostro benessere). A noi questi ragazzi sembrano semplicemente coscienti della realtà in cui vivono, dell’ipoteca posta sul loro futuro, della necessità di trovare una nuova via su cui prosperare.

Nel loro grido non c’è spazio per la retorica ottusa o gli ideologismi spicci – per la violenza – che non di rado hanno abitato le piazze in cui scendevano i padri e i nonni; piuttosto, la richiesta di un cambiamento di paradigma, una trasformazione delle logiche su cui si è sviluppato il nostro sistema politico ed economico, sedotto dal mito (o idolo) di una crescita perpetua e, in definitiva, autodistruttiva. In altre parole, una svolta epocale.

Gli slogan. Il tempo non è riciclabile / Pensare globale, agire locale / Chi inquina paga / Ambiente risorsa non quotata in borsa / Giù le mani dal nostro futuro. Già in essi si scorge la forza ideale di ogni sciopero, quella coscienza di dover lottare per un proprio diritto che si traduce in coraggio, ribellione, gioia nel momento in cui si conquista uno spazio di libertà in cui far sentire la propria voce. Se è vero che ogni sciopero (legittimo e meritevole, diceva Gandhi) prefigura una più o meno grande rivoluzione, questa generazione muove i primi passi per riappropriarsi di un’idea di futuro intesa come spazio mentale e ideale, da esplorare e plasmare in virtù di logiche nuove. Si può dibattere con loro, sondare la solidità delle loro argomentazioni. Si può dissentire dalle istanze e dalle richieste di cui si fanno portatori. Bollarli come ambientalisti incoerenti o, peggio, lasciarli soli, sarebbe ignobile (e irresponsabile).

Questi giovani, in modo forse magmatico e ancora inconsapevole della portata del proprio dettato, stanno mettendo al centro del dibattito globale una nuova idea di progresso, la possibilità stessa di concepire una visione alternativa di futuro che si sganci dal binario morto su cui ci hanno condotto le ricette dei padri. Al di là di ogni valutazione di merito, questa non ci pare una “moda”, come l’ha definita uno zurighese d’altri tempi.

Fra gli slogan, ce n’è un altro che ci dà la misura della forza simbolica di questi “scioperi per il clima”, ossia del rifiuto di entrare in aula: “Perché studiamo per un futuro che non abbiamo?”. Così questi ragazzi si sottraggono alla contraddizione in cui li si vorrebbe costringere. Se ogni sciopero è sempre stato ispirato dalla volontà di far valere i propri diritti e migliorare la propria condizione, qui per la prima volta, con l’esigenza di una visione alternativa, si afferma lo stesso diritto all’esistenza. Perché istruirsi, se quel sapere dovrà essere messo al servizio di un sistema (auto)distruttivo? Meglio astenersi, ci dicono. Come dar loro torto (anche senza dispensa del Decs)?
Al tempo della virtualità seguito al crollo delle ideologie, in cui con facilità i giovani vengono liquidati come “sdraiati”, ecco che un rinnovato idealismo (post-ideologico) riporta in piazza migliaia di ragazzi. A compattarli la consapevolezza del valore di ciò per cui ingaggiarsi, forse del fatto che il cammino sarà lungo e disseminato di insidie, per cui serviranno volontà, coraggio e idee. Beh, in quest’ottica pure andare a scuola torna ad avere senso. Dopotutto, a determinare i destini del mondo sono sempre state le minoranze: di potere o illuminate.

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