Commento

Arancina meccanica (se Damiano Tamagni non ha insegnato nulla)

Giovanissimi, violenti e senza scrupoli: quando il disagio giovanile diventa criminalità urbana, nella fermezza di un giudice l’umana speranza di una redenzione

Ultraviolenza ('Arancia meccanica', Wikipedia)
9 maggio 2019
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Svuotare i tabernacoli o le cassette delle offerte in chiesa fa notizia. Ha un che di comico e di folkloristico allo stesso tempo, e sa di tempi passati. Ma l’ultraviolenza, immobilizzare un uomo montandogli sopra a cavalcioni nell’attesa che il tuo compagno di merende gli assesti una pedata in piena faccia, è tutta un’altra cosa. «Gli ho dato un calcio di rigore alla testa» dichiarava lo scorso anno, una volta arrestato, uno dei tre poco più (e poco meno) che ventenni del Locarnese condannati ieri a Lugano. I reati di cui sono stati ritenuti colpevoli meglio si addicono a 50enni senza più niente da chiedere alla vita che a giovani nel pieno della post-adolescenza. La mera contabilità di anni e mesi di pena da trascorrere dietro le sbarre, una volta negata qualsiasi attenuante se non quella forzatamente imposta dalle perizie psichiatriche, è riassunta a pagina 11. Ma quelle sono cifre, e sono fredde se paragonate alle ventiquattro pagine che ritraggono in azione questa ‘Arancina meccanica’ di giovanissimi, in tempi in cui lo schiacciare il citofono e scappare, l’ordinare 10 pizze da un indirizzo che non esiste, o qualsiasi altra stupida trovata artigianale, si è trasformato nel dare fuoco ai barboni per strada o nel pestare a morte inermi pensionati, perché spinti dalla constatazione (da alcuni adulti persino giustificata) che in molti paesini del profondo o dell’estremo nulla – che si parli di montagne o di pianura – oggi come oggi ai giovani c’è poco da offrire. Per fortuna, per il momento, questi casi limite accadono oltre confine

La voce del branco

La gravità di quanto emerso dai tre giorni di processo alla banda che rubava (anche) nelle chiese è inferiore alle vicende di cui sopra. Ma solo per puro caso. Da leggersi: nel Locarnese, se non ci è scappato il morto, poco ci è mancato. In fase d’interrogatorio, alla domanda se conoscesse l’entità del rischio di prendere a calci in faccia qualcuno, uno degli imputati ha risposto: “Sì, è una vena, quella che hanno rotto a Tamagni”. Segno che se a qualcuno l’uccisione del 22enne Damiano al Carnevale del 2008 ha insegnato qualcosa, a qualcun altro, evidentemente, ha insegnato poco.
Di tutto quanto ascoltato in aula, colpisce come sempre l’insensatezza delle motivazioni del branco, ammesso abbia un senso il piacere di picchiare al di fuori delle competizioni sportive che autorizzano a prendersi reciprocamente a pugni. A colpire è anche un altro elemento che torna puntuale quando nelle aule di tribunale sfilano giovanissimi appena entrati a far parte del mondo degli adulti: si delinque (anche) per questioni di marchio. Nello specifico, i tre del Locarnese – ai quali si accompagnava una minorenne che per efferatezza tutta femminile ricorda Juliette Lewis in ‘Natural born killers’– rubavano sì per procurarsi droga e farmaci in funzione dello sballo, singolo e di gruppo, ma anche per comprarsi “roba firmata”.

Tutti gli uomini persi

Forse è tardi per far capire a giovani uomini nel pieno di sconvolgimenti ormonali che per far colpo sulle donne a volte fa più un congiuntivo che una canotta firmata. Anche perché nel caso dei tre locarnesi siamo oltre il disagio giovanile, ma in ambiti di conclamata criminalità urbana. Non è tardi però – e l’inflessibilità del giudice qualcosa significa in questo senso – per far capire che esistono conseguenze alle azioni di tutti, soprattutto a quelle più stupide: forse, di fronte a una pena così rigorosa e senza sconti, nella testa dei tre potrebbe finalmente chiarirsi la differenza tra un occhio nero e un’emorragia cerebrale.

Nella fermezza di un giudice che, pur condannandolo, decide di risparmiare l’espulsione al 22enne nato all’estero c’è l’umana speranza (laica o cristiana poco importa) della redenzione, c’è la volontà di poter recuperare nei condannati quei vent’anni portati così male. Per quanto questa storia chiami l’indignazione, da qualche parte tra i neuroni sta quell’idea che anche dietro alla peggiore delle persone ci sia stato un bambino al quale si dovevano attenzioni. Come in quella canzone che parla degli adulti “che comprano la vita degli altri vendendogli bustine e la peggiore delle vite” e che da piccoli hanno “scambiato figurine e segreti con uno più grande, ma prima doveva giurare”. Proprio là, tra un ganglio e l’altro, risiede il dubbio che dietro a questa mostruosa assenza di regole ascoltata per tre giorni in un’aula di tribunale ci sia l’assenza di un genitore “che caccia via la notte”. Che è la notte “di tutti gli uomini persi dal mondo”.

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