Il dibattito

La mia risposta a Dadò

La critica è un sacrosanto diritto di radio e telespettatori

Aldo Sofia (Ti-Press)
13 aprile 2019
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Caro direttore, per quarant’anni sono stato giornalista del servizio pubblico e non ho mai replicato alle critiche rivolte dall’esterno al mio lavoro. Una questione di principio. La critica è un sacrosanto diritto di radio e telespettatori. Semmai, quando rivoltimi in modo anche aspro ma corretto e civile, ho sempre cercato di capire e valutare i rimproveri, verificandone la fondatezza e l’utilità per migliorarmi professionalmente. Devo purtroppo fare quest’unica eccezione visto quanto scritto su ‘laRegione’ dal presidente del Ppd, Fiorenzo Dadò. Il quale torna perentoriamente ad accusarmi di aver insinuato l’ipotesi di funzionari del Dss corrotti, nell’ambito dell’inchiesta giornalistica dedicata da Falò allo scandalo Argo1, inchiesta realizzata col collega Philippe Blanc.

Allora anche la magistratura?

Ecco allora i fatti. Dopo aver dato notizia (nel “Quotidiano”) delle cene di Bormio offerte dai responsabili di Argo 1 a Dadò e alla sua compagna, funzionaria del Dss incaricata del dossier rifugiati, e dopo aver sollevato un interrogativo sull’opportunità di accettarle (il Dipartimento decise del resto l’apertura di un’inchiesta amministrativa), qualche settimana dopo in ‘Falò’ riferivamo di ulteriori indagini in tutta Italia, in particolare in Sardegna, circostanza poi confermata dagli inquirenti ticinesi. Indagini della magistratura, con relativa richiesta di rogatoria, durate circa due anni, e chiuse solo recentemente. Una notizia sicura, di rilevante interesse pubblico, e che avremmo dovuto tacere? Sarebbe questa la lezione di giornalismo che intende impartirci il presidente del Ppd?

E perché allora, seguendo la stessa logica e lo stesso ragionamento, Fiorenzo Dadò non rimprovera anche alla magistratura ticinese di aver insinuato, con la sua lunga indagine, l’ipotesi di corruzione di funzionari del Dss? Pensa, Dadò, che la magistratura sia stata influenzata dai media? Se così fosse, non avrebbe certo in gran considerazione il lavoro a Palazzo di Giustizia. Tutto si è poi chiuso positivamente, benissimo così, con la magistratura che ha fatto semplicemente il suo dovere.

Il presidente del Ppd avrebbe avuto del resto la possibilità di rivolgersi alle diverse istanze che consentono di ricorrere anche contro un programma del servizio pubblico, ed eventualmente di sanzionarlo. Non lo ha fatto. Né, nelle sue continue esternazioni contro il sottoscritto, ricorda che la docu-inchiesta di ‘Falò’ evidenziava tutta una serie di irregolarità, di negligenze, di mancate autorizzazioni, di pagamenti in nero, di lavoratori non in regola, di turni falsificati, di inconsistenti controlli da parte delle autorità: tutti fatti accertati che (insieme ad altri) formano la brutta tela della vicenda Argo 1, società di sicurezza che al momento dell’assegnazione del mandato milionario esisteva praticamente solo sulla carta (e il mistero su questa scelta rimane). Una serie di violazioni e anomalie che si sono protratte per diverso tempo, e che hanno determinato la costituzione di due Commissioni parlamentari d’inchiesta, quando sarebbe bastato ammettere subito gli errori e i corto-circuiti prodottisi nel Dipartimento.

E gli elettori?

No, di tutto questo Dadò non si occupa, né si preoccupa. E naturalmente nemmeno della pessima gestione politica del dopo-scandalo, quando fra l’altro lo stesso presidente del Ppd usò la sede del Dipartimento come se fosse il suo ufficio per discutere con dei funzionari di una vicenda che, in linea di principio, non lo riguardava personalmente. No, meglio cercare di bersagliare un giornalista, e far dimenticare tutto il resto. Un classico esempio di “bombardamento di distrazione di massa”. Infine, se Dadò ritiene che la copertura giornalistica della vicenda Argo 1 abbia danneggiato il partito, c’è da chiedersi quale rispetto abbia nei confronti di quella parte di elettori (fossero anche pochi) che forse anche a causa di questo scandalo, e sensibili al tema dell’etica e della credibilità in politica, hanno deciso di votare per il rinnovamento in Consiglio di Stato.

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