Commento

L’avventura del Plr fuori dal seminato

Addentrarsi su terreni già occupati da altri è un esercizio difficile e rischioso: l'identità di un partito è relativamente impermeabile alla congiuntura

La presidente del Plr Petra Gössi
(Keystone)
29 marzo 2019
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Assistiamo a strepitose piroette, a prodigiose acrobazie verbali in queste settimane: l’Udc in Parlamento a Berna manda in fumo l’aumento delle franchigie di cassa malati, difeso a spada tratta fino a pochi giorni prima in nome del rafforzamento della responsabilità individuale degli assicurati; il Plr, dopo aver contribuito a incenerire la legge sul CO2 in dicembre al Consiglio nazionale (ed essersi mostrato assai tiepido, comunque diviso, sulla Strategia energetica 2050), improvvisamente vuol darsi una verniciata di verde. E i Verdi liberali (‘Die Grünasozialen’, i ‘verdiasociali’ li ha definiti la ‘Wochenzeitung’), senza troppi scrupoli si propongono come l’alternativa ‘social-liberale’, mentre a Berna e nei cantoni – perfino sui temi di politica ambientale – votano spesso a braccetto di Udc e Plr, contro i bisogni dei più deboli della società, beneficiari dell’aiuto sociale e altri.

Il salasso dei premi di cassa malati, le ormai tangibili conseguenze del riscaldamento climatico: le elezioni federali si avvicinano a grandi passi, i partiti in questi pochi mesi che ci separano dall’appuntamento del 20 ottobre surfano sulle principali preoccupazioni – reali o presunte – dei cittadini. Il dilemma stavolta è particolarmente acuto per Plr e Udc: cavalcare l’onda del momento, per tentare di racimolare voti e conquistare seggi, correndo così il rischio di apparire opportunisti, o quantomeno poco credibili rispetto all’‘originale’? Oppure schivare quest’onda, andare avanti per la propria strada, mettendo in conto perdite alle urne?

Non c’è in assoluto una scelta migliore dell’altra. Forse è anzitutto una questione di tempi e di modi. Che i due partiti della destra stanno sbagliando. Il Plr avviando in tutta fretta, in pieno anno elettorale, una consultazione interna annunciata nelle scorse settimane dalla sua presidente Petra Gössi senza il necessario appoggio interno, perfino ai piani alti del partito; l’Udc giungendo addirittura ad addossare la colpa alla Ssr – rea secondo il presidente Albert Rösti di aver fatto dello sciopero climatico dei giovani “una battaglia propagandistica che non si era mai vista” – della recente batosta elettorale zurighese, l’ennesima di questa legislatura a livello cantonale.

Ma, al di là di questo: il fatto è che ogni partito ha una sua identità, più o meno definita e relativamente impermeabile agli alti e bassi della congiuntura politica, sociale ed economica (e ambientale). Nemmeno il riscaldamento climatico e l’‘onda verde’ che sta innescando in Svizzera sul piano politico riusciranno a staccare l’etichetta che ognuno di loro s’è cucita addosso nel corso di decenni o di anni: l’Udc resterà così essenzialmente il partito anti-immigrazione e anti-Europa; il Plr quello dell’economia e della finanza; il Ps della difesa dei meno abbienti; il Ppd della famiglia; i Verdi – e, sì, mettiamoci pure i Verdi liberali – quelli dell’ambiente.

Uscire dal proprio seminato, addentrarsi su terreni già occupati da altri, è un esercizio difficile e non esente da rischi. Dagli slogan a una credibile narrativa, il cammino è lungo e irto di ostacoli. Costruire, come adesso proclama di voler fare il Plr, una “politica climatica e ambientale liberale e vicina alla popolazione”, non si fa dall’oggi al domani, ma richiede allo stesso tempo lungimiranza, capacità di conduzione da parte dei dirigenti, disponibilità all’ascolto e al dialogo per avvicinare sensibilità divergenti. E per profilarsi davvero come interlocutore affidabile su un tema destinato ad accompagnarci a lungo – non desistendo al primo, eventuale rovescio elettorale – servono anche coraggio e tenacia.

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