Il dibattito

Oggetti smarriti (due righe sul dilemma radicale)

Che spazio resta alla sinistra nel Plr di oggi? Spoiler: mica tanto

(Wikipedia)
22 marzo 2019
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Aiutare il Plr a raddoppiare, oppure il Ps a restare in governo? Il dilemma non riguarda solo i radicali ‘tesserati’, ma chiunque si riconosca in un’idea di progressismo liberale, per quanto mutevole ed eterogenea. Elettori che si sentono sempre più oggetti smarriti, o meglio abbandonati dai rappresentanti politici del partitone; e con poche probabilità che vadano a riprenderseli, dato che il vento tira in tutt’altra direzione.

È lì da vedere: di ‘radicale’, nel Plr, non resta quasi più nulla (il fatto che nel partito la discussione sul tema sia svolta dalla vecchia guardia, come quando a scuola non riesci a ragionare con gli allievi e ti tocca convocare i genitori, la dice già lunga). Che si guardi ai generali o alla fanteria, il piano d’attacco del partito resta quello del liberismo più caricaturale. Resta escluso chi guarda sì con diffidenza al dirigismo e alle ideologie ipernormative, ma crede pure che il laissez-faire non basti per un benessere sostenibile e diffuso.

Ché poi nel Plr, a essere sinceri, c’è anche da capire quanto resti di liberale. A volte, sotto certi striscioni, più che l’economia di mercato si indovina quella di bottega. Non è certo un successo del libero mercato la fashion valley nostrana, che alle mire degli ‘ottimizzatori’ fiscali ha offerto “capannoni inaccessibili, simili a moderni penitenziari”, per dirla con le parole di Orazio Martinetti su ‘Azione’. Né lo è il minestrone della riforma fiscale-sociale, i cui sgravi incoraggiano più le speculazioni finanziarie degli investimenti sul territorio.

D’altra parte non è radicale – e forse neppure liberale – allentare la difesa del mercato comune a due passi dalle elezioni, e giocare costantemente in difesa di fronte alla narrazione primanostrista. “Dove passano le merci, non passano gli eserciti”, insegnava Frédéric Bastiat; vale anche per le persone, purché si giochi secondo regole forti e condivise. Non si può invocare la società aperta solo quando fa comodo.

Saranno poi pochi e invecchiati, i radicali e i loro simili. Ma è difficile che quei pochi rientrino ancora in questo ‘pi-pseudoelle-meno-erre’. Per quel che vale potrebbero provare a fare il test ‘smartvote’, per capire come si posizionano rispetto alle idee e ai programmi degli attuali candidati. Quando ci ho provato, mi sono stupito parecchio: praticamente risulto a due passi dal marxismo-leninismo, pur tenendo ‘La ricchezza delle nazioni’ sul comodino e ‘L’oppio degli intellettuali’ sul tavolino del salotto (radical-chic, suppongo). Segno di come l’asse della politica ticinese si sia spostata drasticamente – e spesso acriticamente ­– verso destra.

Poi non è detto che i radicali possano trovare nel Ps una nuova ‘casa’. Spesso anemici e divisi nel proporre una visione di sviluppo alternativa – lo si è visto proprio con la riforma fiscale-sociale –, i socialisti mostrano pure residui statalisti e toni moraleggianti che al libertario fanno venire l’orticaria: era uno dei limiti della ‘Scuola che verrà’, fra l’altro.

L’argomento migliore per la difesa del seggio Ps rimane però lo scenario alternativo: due leghisti e due (pseudo)liberisti al governo, insieme a un Ppd divenuto, sotto Dadò, leghismo con la medaglietta della prima Comunione al collo (e infatti anche lì lo scontento, nella vecchia guardia di ispirazione cristiano-sociale, è palpabile). Più a destra di così, c’è solo Attila.

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