Commento

C’è pure un’Europa dei valori

E quanto all'Avs è anche dimostrato che gli stranieri, quelli della libera circolazione, versano nettamente più di quanto ricevono in rendite

6 marzo 2019
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Di alcuni temi-problemi si evitano aspetti sostanziali perché guasterebbero il modo predominante di pensare. Ci sono in tal modo identificazioni parziali che diventano di piombo: pesanti, immutabili. Due esempi, solo apparentemente diversi, di cui si discute di questi tempi.

L’Europa è identificata nell’Unione europea, Bruxelles, burocrazia, confusione, impedimento, arroganza, scarsa democrazia, con in più la drammaturgia della Brexit o del sovranismo. Esiste però anche come economia, commercio, finanza, banche, contributi per la ricerca. Può essere utile, interessare, vanno cercati accordi quadro. Tuttavia con la supposta condizione che siamo noi ad essere utili e indispensabili all’Europa. L’Europa è quindi essenzialmente Unione europea, corpo economico senza anima, possibilità di affari commerciali e finanziari, libertà di mercato senza intralci, ad eccezione di quelli che possono infastidirci (la libera circolazione delle persone, liberalizzazione del mercato agricolo, trappole fiscali, regole bancarie). Una identificazione doppiamente ingiusta e impoverente: dapprima perché l’Europa non è e non può essere solo economia e interesse economico e non è solo rovina; poi perché, nel contesto geopolitico attuale, ridurla così è l’operazione fomentata da chi, dall’interno ma soprattutto dall’esterno (Stati Uniti, Russia, Cina) ne vuole l’asservimento o il tornaconto politico-economico del suo disfacimento. Che sta già avvenendo. E non è utile neppure alla libera e neutrale Svizzera. Non si sente però mai accennare in tutte le discussioni politiche svizzere sui rapporti con l’Europa – quasi fosse proprietà acquisita oppure idealità superflua o idiozia politica controproducente – di un comun denominatore di “valori europei”. Un’Europa dei valori da salvaguardare. Che esiste, da risvegliare e insegnare, perché solo su di essa si deve costruire e darsi un’identità che non può essere solo elvetica, dev’essere europea: il rispetto della dignità umana, l’assieme delle libertà fondamentali, l’eguaglianza di cittadini di fronte alla legge, lo stato di diritto, i principi della democrazia parlamentare, la rinuncia alla forza e la preferenza per la soluzione pacifica dei conflitti, la solidarietà e la ricerca della giustizia sociale mediante lo Stato, una cultura unica nella diversità e feconda.

L’Avs è identificata da tempo con il fallimento prossimo venturo. Non ce la farà perché siamo una nazione di vecchi, per via del “rapporto di dipendenza delle persone anziane” (rapporto lavoratori attivi che versano contributi, pensionati che percepiscono rendite). Forse perché crollerebbe un’identificazione che crea fortune elettorali o che impedisce ancora soluzioni di giustizia sociale nel cantone, non si dice mai che la sovrarappresentazione degli stranieri nella popolazione attiva (il 72 per cento delle personalità di nazionalità straniera ha un’età tra i 20 e i 64 anni, contro soltanto il 58 per cento della popolazione autoctona) non solo ha permesso di rallentare l’invecchiamento demografico, ma ha largamente contribuito ad alimentare finanziariamente l’Avs. Ed è anche dimostrato che gli stranieri, quelli della libera circolazione, versano nettamente più di quanto ricevono in rendite. Guai a dirlo, soprattutto all’Europa.

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