Commento

Hiv e Aids, indispensabile informare per non discriminare

L'esigenza è ancora tale a quasi quarant'anni dall'inizio dell'epidemia: un caso di cronaca riporta d'attualità lo stigma di cui sono vittima i sieropositivi

12 gennaio 2019
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Anno 2019. Parlare di Hiv, il virus che se non curato può causare la sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), è ancora pruriginoso. Ce ne siamo accorti ieri: in aula penale a Lugano è emersa una vicenda che riporta inevitabilmente il tema d’attualità. Per il fatto di cronaca rimandiamo all’articolo (cfr. a pagina 9), a meritare un commento è lo stigma che ancora – a quasi quarant’anni ormai da quando negli Stati Uniti iniziò l’epidemia – accompagna i ceppi virali e la relativa malattia.

Oggi, come da anni ormai, al contagio da Hiv non segue più per forza di cose lo sviluppo della sindrome, che a sua volta non è più una condanna a morte come era negli anni Ottanta e fino al 1996. I progressi della ricerca, pur non avendo ancora trovato un vaccino – difficile da individuare a causa della mutabilità del virus –, hanno permesso a metà anni Novanta di introdurre i cosiddetti farmaci antiretrovirali. Un mix di medicamenti, nel tempo diversificatisi e adeguati alle esigenze dei singoli, grazie ai quali è possibile curarsi. Non solo. Chi segue una terapia e ha una carica virale azzerata non è più contagioso. Questo significa che un/a sieropositivo/a che si cura può avere rapporti sessuali non protetti. Può anche diventare genitore, di figli sani.

L’Aids in passato, e ancor oggi in quei Paesi dove l’accesso ai farmaci non è semplice, è stata letale: oltre venticinque milioni i morti. Quest’aspetto, unito alle vie di trasmissione – legate ormai quasi esclusivamente alla sfera sessuale – contribuisce a rendere il tema come detto pruriginoso. Ma proprio questa condizione di semi-omertà che avvolge la sieropositività – di cui fondamentalmente si parla solo al 1° dicembre, la giornata mondiale contro l’Aids – è ormai anacronistica e va superata.

È tempo di parlarne, seriamente perché l’allarme resta, ma senza ipocrisie. Non solo, e ci riagganciamo alla cronaca, è fondamentale la sincerità fra partner sessuali. È necessario farlo proprio per migliorare l’informazione sul tema. I giovanissimi al riguardo sanno mediamente poco, le generazioni nate fra gli anni Cinquanta e Settanta – che hanno vissuto in prima persona l’emergenza – troppo spesso ne hanno un’immagine distorta, legata al dramma di quegli anni. In entrambi i casi il tiro va corretto, perché non è giustificabile che in società – sia che si parli di un carcere, come nel caso di cui riferiamo oggi, o di qualsiasi altro luogo – una persona sieropositiva che non è contagiosa in quanto curata sia trattata da untore.

Gli enti, come Zonaprotetta in Ticino, che si occupano della sensibilizzazione fanno molto e tanti risultati significativi sono stati raggiunti. È il caso della prevenzione: in Svizzera i casi di contagio sono in calo record e buona parte del migliaio di Hiv positivi nel cantone vive una vita normale. Certo, la guardia non va abbassata e l’obiettivo comune deve restare l’interruzione della catena di contagi, e a tal proposito testarsi rimane prioritario. E il tema della protezione resta centrale per tutte le malattie sessualmente trasmissibili. Ma è ora di abbandonare una volta per tutte discriminazioni ingiustificate.

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