Commento

Cercando l’anti-Trump

L’insediamento del nuovo Congresso, a maggioranza democratica, ha segnato l’inizio del lungo rush per la riconquista o la conquista della Casa Bianca

Donald Trump (Keystone)
7 gennaio 2019
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Anche negli Stati Uniti, e in particolare nei quattro anni del primo mandato presidenziale, si è costantemente in campagna elettorale. Regola che Donald Trump ha seguito fino all’esasperazione. Non si contano dichiarazioni (spesso sopra le righe) e iniziative politiche chiaramente indirizzate più a consolidare la sua stessa base elettorale che ad allargare il proprio consenso politico, come parzialmente conferma la perdita della maggioranza alla Camera dei rappresentanti. Un voto per l’insediamento di un nuovo Congresso, avvenuto pochi giorni fa, che segna l’inizio del lungo rush per la riconquista o la conquista della Casa Bianca, fra due anni.“It’s the economy, stupid” fu lo slogan vincente di Clinton contro Bush padre. Lezione sempre valida. E allo stato attuale l’economia reale, spinta dal più radicale taglio fiscale di cui abbiano potuto godere le aziende, è la migliore arma nelle mani dell’imprevedibile ‘tycoon’. Le cifre parlano chiaro. In particolare per quanto concerne la disoccupazione, mai così bassa negli ultimi quattro decenni. Certo, c’è l’andamento al ribasso della Borsa: il 2018 ha rappresentato un anno nero rispetto all’ultima decade, cioè dall’inizio della crisi. Ma nell’entourage presidenziale qualcuno ha rievocato la battuta di Paul Samuelson, Nobel nel 1970, secondo cui “la Borsa ha saputo prevedere dieci delle ultime cinque recessioni”, come dire che il suo andamento non sempre anticipa le future congiunture economiche. Nonostante tutto, comunque, Trump non può non sapere che – per effetto degli imponderabili andamenti del costo del petrolio e degli effetti della guerra dei dazi, che cominciano ad avere ripercussioni negative anche per talune imprese statunitensi – la sua luna di miele con l’economia potrebbe spegnersi nel corso di un 2019 che prefigura una battuta d’arresto a livello mondiale.

Rimane dunque una buona dose di incertezza. E su di essa i rivali democratici stanno scrivendo la lista dei candidati alle prossime presidenziali. Partito ancora in cerca di un leader e di una nuova identità dopo la sconfitta del 2016. Sono molti i ‘competitor’ che già si sono annunciati nel Democratic Party per la scalata al potere supremo. Quasi un affollamento. Dagli anziani Jo Biden (ex vicepresidente di Obama) al senatore Bernie Sanders (già definito “il Trump della sinistra”) a una pletora di giovani (molte donne e molti volti delle minoranze), emersi nelle recenti mid-term, e per lo più intenzionati a spostare decisamente a sinistra l’asse del partito. Riformismo, versione liberal del populismo, contrasto alle teorie suprematiste bianche. C’è di tutto nell’esuberante lista democratica. Certo, nel sistema presidenziale americano, oltretutto in una fase di forte polarizzazione interna, alla fine una figura dovrà pur emergere. Un esponente della vecchia scuola centrista, o della nuova generazione? Candidatura decisa dall’establishment (che conta su oltre duecento parlamentari) o da una base oggi meno ‘allineata’ rispetto alle parole d’ordine dall’alto? E questa disobbedienza innovativa non potrebbe diventare un vantaggio?

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