Commento

Stranieri, insulti, licenziamenti. E code di paglia

Un frontaliere e una residente italiana licenziati per avere insultato la polizia sui social. Magari si sta esagerando, eh

Ti-Press
18 dicembre 2018
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Se c’è una cosa che mi fa rabbia, da italiano che lavora (e vive) in Ticino, è il lamento costante di certi connazionali. Non sono la maggioranza, per fortuna, ma diventano subito ossessivi. Son quelli che passano il tempo a fare confronti fra “noi” e “loro”, italiani e svizzeri, a spacciare cliché usurati e fare le povere vittime. Una specie di nazionalismo psicotico che riduce gli individui al colore del loro passaporto, e che a onor del vero si incontra anche nella speculare versione svizzera: il risentimento chiama altro risentimento.

Lo si è visto bene coi due italiani – un frontaliere e una residente – che sui social hanno insultato la Svizzera e la sua polizia, il tutto per una banale contravvenzione. Parole durissime, violente, figlie di una rabbia assolutamente esagerata. Neanche ti avessero menato, santocielo: ti becchi una multa, la paghi. Amen. Sai che tragedia.

Peggio degli insulti, però, sono state le reazioni che hanno scatenato. Felici di cotanto boccone da dare in pasto agli analoghi piangina ticinesi, i soliti portalini e giornaletti della costellazione leghista hanno fomentato la polemica. Naturalmente i social permettono di scatenare, con minime scintille, il rapido incendio di tutta la prateria. Da lì a chiedere la testa dei due italiani, è stato un attimo.

Ma queste sono solo le dinamiche di Facebook e affini, basterebbe trattare la cosa da adulti e non dar loro troppo peso. Ben più preoccupante è stato semmai l’epilogo della vicenda: licenziamento in tronco per entrambi. Non perché i due facessero male il loro lavoro, anzi: nell’ultimo caso, la società ha addirittura parlato di “un collaboratore fino a oggi irreprensibile”.

Non è stata quindi la condotta professionale a giustificare il licenziamento. Le due società hanno scelto di sacrificare i collaboratori per timore di un danno d’immagine, invece di sfidare a viso aperto chi strumentalizza questa guerriglia di confine per il proprio tornaconto politico. Hanno accettato supinamente che fosse il comportamento di branco dei predatori virtuali a determinare le loro strategie.

È che son tempi furiosi, signora mia. Tempi nei quali si aspetta un passo falso per crocifiggere il prossimo. Imprese che senza stranieri e frontalieri avrebbero già chiuso da un pezzo – facciamocene una ragione – fanno sacrifici sull’altare dello sciovinismo più bieco. Sia mai che a qualcuno venisse in mente di andare a contestare le ragioni strutturali di certe tensioni, dalle politiche dell’odio a salari che in interi settori escludono la manodopera residente. No, no, meglio far vedere alle tricoteuses del web la testa mozza di chi ha sbagliato, e passare ad altro. C’è un nome tecnico per questa cosa: coda di paglia.

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