Commento

Svizzera-Unione Europea, saggio non precipitare!

Ben venga la consultazione, e poi: la democrazia diretta richiede estrema prudenza!

10 dicembre 2018
|

Nel fine settimana sono fioccate le reazioni sull’accordo quadro istituzionale con l’Ue che il Consiglio federale ha presentato ufficialmente alla stampa venerdì. Reazioni per niente univoche, come d’altronde ci si poteva attendere. L’economia è più positiva; i sindacati e la sinistra si mostrano invece parecchio critici, tanto da accarezzare la possibilità di una ripartenza con nuovi attori, a cominciare dal nuovo capo dell’economia e dal nuovo presidente dell’Uss. Vedi dichiarazioni domenicali di Christian Levrat, presidente del Ps. Così è perché, come è normale che sia, il governo non è riuscito a ottenere tutto quello che disiderava da Bruxelles. Proprio per questo, ha – giustamente, crediamo – deciso di non decidere e di non parafare l’accordo raggiunto, ma di avviare una procedura di consultazione interna. Una decisione che a Bruxelles, oltre che come uno schiaffo al presidente della Commissione Juncker (che avrebbe gradito sentirsi dire sì dalla Svizzera prima di andarsene in pensione), è stata interpretata come volontà di tirare di nuovo il tutto per le lunghe, proprio mentre l’Ue ha ben altre gatte da pelare, e di guadagnare tempo.

Ma a cosa ci serve questo tempo? Ad affrontare in un più serrato corpo a corpo quegli argomenti che già si sapeva (da anni) che non sarebbero andati come una lettera alla posta: la protezione dei salari, i diritti dei cittadini europei riguardo agli aiuti sociali e la regola degli 8 giorni ridotti a 4. Argomenti che faranno discutere le parti sociali e i partiti di governo e per i quali si tratterà di stabilire molto pragmaticamente quanto il nostro Paese guadagnerà o perderà, mettendo tutti gli elementi positivi e negativi sui rispettivi piatti della bilancia.

Piaccia o non piaccia, a questo dovrà servire il tempo supplementare saggiamente deciso venerdì. Il quid centrale delle nostre relazioni bilaterali con l’Ue – e il nuovo accordo istituzionale non cambia la musica – sono i soldoni che, alla fin fine, sono quello che conteremo. Soldoni che significano soprattutto posti di lavoro in Svizzera, possibilità di esportare merci nell’Unione e basta minacce sull’equivalenza della nostra piazza finanziaria.

Indipendentemente dal risultato finale della consultazione, sul tavolo della partita ci sono poi anche due elementi che richiedono estrema prudenza.

Il primo si chiama democrazia diretta. Esiste e ha già mandato all’aria un accordo con l’Unione bell’e pronto. Ricordate? Era il 6 dicembre del 1992 e il popolo sovrano bocciò lo spazio economico europeo. Quindi calma e poi ancora calma. Il dibattito che sorgerà attorno alla trentina di pagine, finalmente servite pubblicamente, è più che necessario dopo anni di negoziati, perché alla fin fine toccherà ai cittadini valutare la bontà del ‘do ut des’ e dire se il santo vale la candela. Per condurre in porto l’accordo, la questione dei salari sarà probabilmente quella centrale. Si dovrà quindi lavorare sulle misure di accompagnamento e i capitani dell’economia ‘nolens volens’ dovranno negoziare la tariffa e spartire la torta.

Il secondo aspetto sono le elezioni europee ormai dietro l’angolo. Temporeggiare permette di capire con che Unione avremo a che fare fra qualche mese. Con una Commissione che crede fortemente nel ruolo dell’Unione europea, o con una nuova generazione di politici sovranisti? A seconda della temperatura in quel di Bruxelles anche i rapporti col nostro Paese, che da sempre ha mostrato una solida volontà di autonomia e indipendenza, potrebbero modificarsi.

Ben vengano quindi la consultazione e il confronto. A volte urge attendere. O per lo meno non precipitare.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE