Commento

L’antidoto della memoria

Ricordare anche gli orrori, permette di accorgerci in tempo delle possibili derive

30 novembre 2018
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Domande di risarcimento e di scuse di qualcuno che bussa con ostinazione alla porta dello Stato, tornano di tanto in tanto alla ribalta della cronaca. Si accendono così i riflettori su capitoli bui della storia, costringendoci a chiederci come mai l’orrore sia stato possibile e impedendoci di voltare velocemente pagina. Lo abbiamo fatto recentemente anche noi svizzeri, confrontati con la vicenda delle migliaia di bimbi strappati ai genitori considerati non idonei fino agli anni 80, incarcerati, messi a servizio da contadini, internati in psichiatria o in istituti dove sono stati violentati, per i quali solo da poco è stato attivato un fondo di aiuto. Emersi alcuni episodi sepolti, la Confederazione prima e il nostro Cantone poi hanno riconosciuto gli errori fatti dallo Stato e chiesto scusa alle vittime. Alcune di quelle storie, negli scorsi anni le abbiamo raccontate pure noi. Ora, con riferimento ad un periodo storico precedente, quello della seconda guerra mondiale, proprio in questi giorni è venuto a galla un altro conto ancora aperto. Il conto delle ferrovie olandesi chiamate a risarcire i parenti degli ebrei deportati nei campi di sterminio nazisti. A reclamare un risarcimento è un olandese di 82 anni che da tempo domandava un indennizzo alla compagnia nazionale Nederlandse Spoorwegen, che con i suoi treni deportò migliaia di ebrei verso un Lager nel Nord dell’Olanda, compresi i suoi genitori. Da lì gli internati ripartivano per i campi di sterminio in Polonia. Motivo della richiesta il fatto che per le ferrovie olandesi quei trasporti di esseri umani, come carne da macello destinata alle camere a gas, sono stati un affare economico. La compagnia olandese si era già scusata nel 2005, rifiutandosi però di pagare risarcimenti ai parenti delle vittime o ai sopravvissuti. Mutatis mutandis, queste due vicende storiche hanno alcuni elementi in comune. Sono storie vere che ogni volta, come detto, ci interrogano nel profondo sul come mai possano essere successe. Come mai uno Stato e i suoi gerarchi abbiano potuto decidere di eliminare persone (certe persone) con metodica perversione; o, nel caso dei bimbi collocati, di lacerare famiglie, separando i figli dalle madri, senza poi curarsi se la soluzione adottata non fosse peggiore di quella di partenza. Ma in comune hanno anche la difficoltà da parte di uno Stato o di un’azienda privata o appartenente allo Stato di riconoscere il male fatto. E, ulteriore passo, una volta riconosciuto e pronunciate le scuse, anche di affrontare il capitolo dei risarcimenti. La pena e le difficoltà per vedersi finalmente riconosciuta l’ingiustizia subita è tale, che la vittima – se è ancora in vita – si sente nuovamente ferita. Per chi non ha vissuto quei drammatici momenti e assiste oggi a simili richieste, c’è poi il dovere morale di capire, di informarsi su ciò che fu (tanto più se è successo nel Paese in cui vive) e di alimentare il ricordo. Non per tener vivo il senso delle ingiustizie, ripetendo chi è stato da una parte (dei giusti) o dall’altra. No, semplicemente per non scordare e far sì che gli insegnamenti della storia, anche quelli dei suoi orrori, ci permettano di accorgerci in tempo nell’oggi delle possibili derive. La memoria è il miglior antidoto. E anche l’unico.

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