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Se piove non è certo colpa di un 'governo ladro'

6 novembre 2018
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Se piove non è certo colpa di un “governo ladro”. Ma un governo degno dovrebbe evitare di fare politica sul maltempo; non fosse che per evitare figure meschine, o almeno per rispetto dei morti. Deve però essere più forte di loro: anche in questa occasione i grilloleghisti non hanno saputo tenere a freno la lingua, impavidi nell’esposizione di confusione intellettuale e miseria umana.

Intanto va ricordato, effetto serra o no, che le “buzze” storiche vengono definite tali proprio quando la forza che erompe dai corsi d’acqua supera il previsto e talvolta il prevedibile. Si chiama natura e niente ha a che fare con un fatalismo equivoco, ma molto con la nostra minorità nei suoi confronti. La pretesa (o la necessità) del suo dominio è parte e vizio di ciò che chiamiamo civiltà. Averne coscienza sarebbe un atto di umanità elementare. Mentre interrogarsi e di conseguenza agire, sull’impatto che l’impresa umana ha sulle manifestazioni anche estreme della “natura”, se non altro quale concausa, sarebbe un ulteriore passo di civiltà, un atto politico dovuto. Quello che un buon numero di governi in giro per il mondo rifiuta di riconoscere, prima ancora che di praticare.

Di conseguenza, offende ma non stupisce che Matteo Salvini attribuisca i disastri provocati dal maltempo agli “ambientalisti da salotto”. Che sarà anche un buon modo per titillare gli istinti ferini di certo elettorato, ma pessimo per cercare di essere all’altezza di una situazione che non consente semplificazioni grossolane. La strage di conifere sui rilievi veneti ha colpito selve coltivate da secoli e con sapienza; mentre alcuni dei versanti trascinati a valle erano stati oggetto di sbancamenti e “correzioni” per fare posto a piste da sci. Le strade portate via dalle mareggiate erano di gestione pubblica e non di Autostrade per l’Italia. Per non dire delle villette costruite, violando vincoli e ragionevolezza, quasi sul greto di fiumi che quando si gonfiano oltremisura le sommergono o se le portano via. E se a addossare tutto ciò ai suddetti salottari dell’ambientalismo è un ministro appartenente a un partito che dacché esiste ha condonato tutto il condonabile in tema di abusi edilizi un motivo ci sarà.

Più oscura la ragione (se non un riflesso pavloviano che spinge a dire qualcosa quando si presume che gli altri se l’aspettino) che ha spinto il sedicente presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad affermare che “le vite umane vengono prima dei vincoli”. Dandosi il caso che nove vite umane se ne sono andate per un vincolo che, se fosse “venuto prima”, le avrebbe risparmiate. Si tireranno in ballo, plausibilmente, una certa cultura e una certa mafia che dettano le direttive dei “piani regolatori” informali, ma limitarsi a denunciarlo è una ammissione di impotenza dei suoi (di Conte) padrini politici che “laggiù” hanno fatto incetta di voti. O di ipocrisia, dopo aver tentato di sanare gli abusi di Ischia infilandoli nel “decreto Genova”.

Conte e Salvini, poi, alla testa di un governo che ha rifiutato il prestito agevolato da circa 800 milioni per un progetto di messa in sicurezza del territorio dalla Banca europea degli investimenti.

Il dissesto idrogeologico in Italia, infine, data da decenni, ed è in parte connaturato alla sua morfologia, in parte dovuto a politiche dissennate praticate dai governi di più diversa ispirazione, e più in generale figlio di un concetto di “sviluppo” rivelatosi fatale dopo aver concorso a generare “benessere” (quello ancora promesso da chi copre coste e creste di impianti meccanici e “meraviglie” alberghiere). Onestà intellettuale richiederebbe di riconoscerlo e agire a dispetto degli indici di consenso. Non sono questi gli uomini che lo faranno.

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