Commento

La Lega fuori legge Salvini sopra la legge

La girino come credono, ma la sostanza non cambia

7 settembre 2018
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La girino come credono, ma la sostanza non cambia: la Lega che ci fece una testa così con i suoi Roma ladrona, deve rifondere allo stesso Stato di cui controlla il governo 49 milioni di euro di rimborsi elettorali non dovuti e fatti sparire.

O saltano fuori, o la Guardia di finanza sequestrerà tutto il sequestrabile – sedi, liquidità – alla Lega e ai suoi rappresentanti giuridici fino a recuperare una cifra equivalente.

In questo modo, ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti (una delle teste più lucide della Lega), il partito chiude.

E infatti l’ordine di far fuoco ad alzo zero sui giudici è già stato diramato. “Sentenza politica”, “democrazia violata” eccetera, fino all’avvertimento rivolto ai giudici da Matteo Salvini: “Temano l’ira dei giusti”. Da fare invidia alle Br o a Totò Riina, se non che la loro “ira” uccideva.

Non vale la pena, ed è triste, insistere sul côté grottesco di un simile contrappasso storico, né sul giustizialismo a geometria variabile dei 5Stelle, virato in questo caso in solidale garantismo.

Non ne vale la pena per due ragioni. Una prosaica e desolante: vuoi che la Lega, come è d’uso tra imprenditori corsari, non dichiari fallimento e riapra bottega con una nuova ragione sociale, un ritocco al nome e il concorso generoso di nuovi soci? Che non abbia ereditato dalla tanto vituperata “Italia” il disgustoso stereotipo secondo cui la furbizia fa premio sull’intelligenza o l’onestà?
L’altra ragione, ben più grave e di sostanza, è che la decisione del tribunale del riesame (ricorribile in cassazione, va ricordato) interviene in un quadro irreversibilmente guasto, nel quale ogni affermazione di giustizia, di visione politica, ma anche solo di umanità, viene rovesciata nel proprio contrario, irrisa, affogata nella marea montante di un sentimento collettivo avvelenato e indisposto ad autoesaminarsi. E così assicura nuovi consensi a Salvini.

Un paradosso drammatico, che designa bene lo stato in cui versa, di nuovo, l’Italia, ma che richiama un corso già avviato in ben altre parti d’Europa e del mondo “democratico”. Dove cioè la giustizia non è stata assoggettata (dalla Polonia all’Ungheria, alla Turchia), la violazione della legge e il conflitto con la magistratura alimentano l’ego e la popolarità di governanti dalle spiccate pulsioni autoritarie, da Trump allo stesso Salvini (se è lecito paragonarli).

Anche per questo, ma soprattutto per una questione di dirittura morale, sarebbe incauto da parte delle opposizioni far conto su scorciatoie giudiziarie per disfarsi di tipi simili: letta sul lungo periodo, la situazione italiana di oggi è anche nipote, seppure illegittima, della sollevazione giustizialista innescata da Mani Pulite (la cui eredità fu spartita tra Berlusconi e Bossi).

E in ogni caso il male è ben più grave se mezzo Paese ha finito per adeguarsi all’idea che migrare sia un reato, che un ladro di polli vada messo ai ceppi, che chi froda e imbosca milioni di euro merita il suo voto.

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