Commento

Le colpe del papa

Ogni accusa, è assioma scontato, deve essere sostenuta da un accusatore credibile

31 agosto 2018
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Ogni accusa, è assioma scontato, deve essere sostenuta da un accusatore credibile. E su monsignor Carlo Maria Viganò, già nunzio vaticano negli Stati Uniti, grande accusatore in questi giorni di papa Francesco che avrebbe saputo e coperto migliaia di abusi sessuali perpetrati da sacerdoti americani, resta il beneficio del dubbio. Perché irritato col papa per la mancata nomina cardinalizia e perché vicino al cardinale statunitense Raymond Leo Burke, conservatore e antagonista di Francesco al punto da giustificare – in una recente intervista a ‘la Repubblica’ – le prese di posizione di Matteo Salvini, ministro italiano degli Interni, sui migranti. Che tutto sono, le dichiarazioni del leader leghista, ma certo poco hanno a che fare col Vangelo.
Precisato e gridato forte che i casi di pedofilia nella Chiesa sono quanto di più grave, orrendo e blasfemo sia mai capitato nella sua millenaria storia, diventa purtroppo sin troppo facile caricare sulle spalle del papa (di questo come dei suoi predecessori) ogni colpa e ogni ignominia. Se non altro perché c’è una curia romana chiamata a sostenere, a essere “corpo” del papa, e se così non è, motivo in più ha Francesco per rivoltarla come un calzino. Perché troppe questioni – pedofilia a parte – si trovano oggi sulle spalle papali, quando ieri erano sparpagliate nei vari uffici vaticani, come ha ricordato ieri mattina Luigi Sandri, vaticanista, invitato alla Facoltà di Teologia.

C’è dunque forse dell’altro dietro alla recente bufera americana. C’è la mai sopita volontà di affossare il papa rinnovatore macchiandolo con la macchia più infame. La Chiesa cattolica è una storia d’intrighi, di lotte intestine, di anatemi e persino di guerre violente, all’interno e all’esterno dei confini europei. È vero però che, conclusa l’epoca del potere temporale, la curia romana ha secretato con tenacia tutto ciò che capitava dentro le mura leonine. E per certi versi continua a farlo. Ma con sempre maggiore fatica. Prima i ‘corvi’ (a proposito, c’è chi annovera fra questi anche Carlo Maria Viganò) – che secondo alcuni avrebbero addirittura portato alle dimissioni di Benedetto XVI – e poi le prese di posizione autorevoli, manifestate da cardinali ostili a Bergoglio, senza reticenza alcuna. Anzi, magari sollecitando un’intervista su questo o quel giornale compiacente. È questa la vera novità. La sfrontatezza, passateci il termine, nel gettare in pasto al pubblico quanto sino a quel momento era oggetto di riflessione e mediazione interna. Voce importante, non censurata ma discreta per raggiungere un comune obiettivo. Questa è la prassi – persino democratica, per quanto termine fuori luogo nel mondo ecclesiale – per chi vuole perseguire il bene collettivo, della comunità riconosciuta e che si riconosce nell’ampio e complesso mondo, qual è quello cattolico con quasi 1 miliardo e 300 milioni di fedeli. Alternativa non c’è, pena l’autodistruzione. Vale per una comunità religiosa così vasta, ma vale anche per la società civile e mondana benché se ne dica. Nonostante oggi si creda alla totale (e illusoria) trasparenza su tutto lo scibile. Il che, come precisa Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano, nell’intervista a noi concessa, non significa banalizzare – o peggio coprire – il male, quanto piuttosto prendere atto della nostra pochezza, dei nostri limiti. Senza però rinunciare all’azione. Una volta si sarebbe detto “consapevolezza responsabile”. Una volta, quando si era meno soli con sé stessi e non arrabbiati col mondo. E però, senza autorevoli punti di riferimento resta solo la barbarie del “si dice”. Resta solo l’insinuazione. Come in questo caso che ha coinvolto il papa. Che una colpa tutto sommato ce l’ha: aver voluto mettere in discussione un apparato curiale che ha retto negli anni, che ne ha viste passare tante ed è oggi convinto che vedrà passare anche Francesco. Senza colpo patire. Dio voglia (per chi ci crede) che così non sia.

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