Commento

La grande paura ha fatto centro

Dopo il Parc Adula, anche quello Locarnese seccamente bocciato alle urne. Solo in due degli 8 Comuni il progetto è piaciuto

11 giugno 2018
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La grande paura ha fatto centro. Quella che avrebbe portato a un groviglio di divieti calati dall’alto, togliendo alla comunità locale la facoltà di decidere; quella che avrebbe trasformato le valli toccate dal progetto in una grande campana di vetro dove la natura è protetta e intoccabile e l’uomo (libero) escluso. Quella che avrebbe segnato la fine delle attività sui monti e fatto fioccare multe da tutte le parti. Quella che avrebbe portato alla nascita di un ulteriore “carrozzone” dai costi non quantificabili sempre a carico dei cittadini. Quella che ha permesso ai contrari al Parco di spuntarla, alla grande occorre riconoscerlo, ieri alle urne.

Nella storia dei parchi, da sempre, l’elenco degli slogan degli oppositori è stato ricco e variegato. Disinformazione, confusione, interessi di parte hanno spesso contribuito a diffondere – a volte anche tendenziosamente – la paura per questo o quel “giardino verde” voluto per valorizzare paesaggi unici e preziosi che, nel frattempo, complice l’incuria e l’abbandono progressivo dovuto alla mancanza di risorse economiche, sarebbero risultati impoveriti. La storia si è ripetuta due anni dopo l’affossamento del Parc Adula. L’impressione è che anche stavolta, la lunga serie di serate pubbliche per chiarire e fugare ogni dubbio o paura che ancora persistono nelle popolazioni coinvolte non siano bastate a rassicurare gli scettici. E non solo di quelli contrari nel DNA. Come non sono bastati neppure gli incontri chiarificatori preventivi con tutti i portatori di interesse (associazioni venatorie in primis) sulle scelte che avrebbero dovuto contraddistinguere il futuro del Parco, fondate su dati oggettivi e sull’analisi degli aspetti positivi e negativi della situazione vigente.

Ciò che i promotori si sono sempre sforzati di comunicare – senza riuscirci – è che l’area protetta non avrebbe portato alla chiusura di un territorio di poco più di 200km quadrati a ogni tipo di sviluppo e l’isolamento dei suoi ultimi abitanti, tagliati fuori dal resto del mondo. Come non avrebbe eretto un “grande recinto” dove pascolano e predano, indisturbati, pericolosi animali come il lupo e la lince. I benefici economici, sostenevano fino all’ultimo i favorevoli, non sarebbero mancati: le risorse naturali sono una vera ricchezza, da utilizzare però secondo criteri non di saccheggio, bensì in modo tale da poter diventare, localmente, fonte di crescita sociale ed economica.

Fa strano annotare che i primi ad affossare il Parco siano stati i Comuni del piano (Losone, Ronco s/Ascona, Brissago e Terre di Pedemonte) con la sola eccezione di Ascona. Sarebbe stata una dimostrazione di solidarietà verso le valli, notoriamente più povere di risorse economiche e, di riflesso, anche di progettualità. Una mano tesa che si è invece trasformata in un sberla. Altra constatazione (ma non è una novità): il popolo è ormai arcistufo di leggi e leggine, restrizioni e divieti. Non da ultimo la chiamata alle urne ha costituito l’occasione colta al balzo per manifestare la propria indignazione nei confronti della classe dirigente.

Alla luce di questa “batosta” (soprattutto lo è stata per le istituzioni locali, seccamente sconfessate da Brissago fino in Onsernone), che altro aggiungere? Tutto rimarrà così com’è ora, il Locarnese “è già di per sé un parco naturale” (lo slogan tanto caro ai contrari). L’obiettivo di un secondo “polmone verde” al sud delle Alpi, in virtù anche delle ripetute bocciature, lasciamolo al libro dei sogni.

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