Commento

Più a destra non si può

2 giugno 2018
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Sono scene a cui abbiamo già assistito, personaggi di cui abbiamo già fatto esperienza, ma vedere un Salvini giurare fedeltà alla Costituzione, un certo effetto lo fa ancora. Non solo lui, ma specialmente lui è l’indicatore di quanto a destra vada collocato il nuovo esecutivo italiano. Più a destra non si poteva. In questo senso, la definizione di evento storico usata da Luigi Di Maio per la nascita del governo Conte è corretta, benché sia legittimo dubitare della consapevolezza con cui lo ha affermato, e della coscienza che ha delle conseguenze che ne deriveranno. Ma questo è.

È cioè, questo governo, l’immagine riflessa e – ahimè – attendibile di quanto profondi siano il disagio e la confusione patiti dall’Italia, e che il presidente Mattarella ha cercato con fatica e sottigliezza di mantenere almeno in una cornice rispettosa della decenza costituzionale.

Della squadra fanno parte politici e “tecnici” che in altri tempi e luoghi si combatterebbero fieramente e che solo per l’occasione hanno deposto le armi e taciuto gli insulti: un (buon, va detto) generale al ministero dell’Ambiente, perché vale più la repressione dell’educazione; un ministro dell’Economia al quale si deve il programma economico di Forza Italia; quello degli Esteri (ma consideriamo che prima di lui c’era Alfano…) che già rivestì la carica con l’odiatissimo Monti; alla Famiglia un paladino dell’estrema destra identitaria e omofoba veronese; alla Salute la dottoressa no-vax; agli Affari europei quel professore ultraottantenne, affetto da narcisismo senile, il cui solo merito – divenuto poi d’impaccio – era quello di volersene andare dall’euro. E altri, più Di Maio e il già citato Salvini, naturalmente, postisi a guardia di Conte, mica che gli venga in mente di sentirsi davvero il capo del governo.

Un concentrato di istinti reazionari, opacità e velleitarismo, peraltro corrispondenti con quanto messo nero su bianco nel cosiddetto “contratto” che dovrebbe costituire il programma per la legislatura.

Una legislatura attorno alla quale i grilloleghisti hanno posto una cintura esplosiva costituita dalle spaventose contraddizioni della loro alleanza e dall’insostenibilità (non solo economica, ma anche politica) delle loro promesse.

Anche per questo – non inganni il favore che gli viene tributato dal “popolo”: non c’è niente di più effimero – attorno a loro si è fatto il vuoto, a partire dai giornali ex amici di osservanza berlusconiana ed estendendosi ben oltre il detestato “sistema” e i confini nazionali. Le sponde che potranno trovare conducono piuttosto a gente del tipo di Steve Bannon, Viktor Orban, Marine Le Pen, mentre di Vladimir Putin potranno, al massimo, essere pedine.

Ma, ecco, poiché nessun governo è un’isola, bisogna pur aggiungere qualcosa sulla sinistra italiana, la cui scomparsa lo ha in qualche modo prodotto; e su una certa Europa, a sua volta concausa di ciò che ora aborre. Questa Europa, dunque, sfogata la bile un po’ razzista e molto spocchiosa sugli italiani, farebbe bene a rileggere la propria storia e ponderare il percorso e le scelte che l’hanno smarrita, così da non farsi illusioni: il caso italiano potrebbe rivelarsi soltanto l’inizio di un ciclo.

Quanto alla sinistra politica, reale o immaginaria, non c’è più. E se ritiene (dopo l’infatuazione contronatura per mercati e rating) che assistere compiaciuta al fallimento di questo governo e ai conseguenti guai per il Paese costituisca già un programma, non solo si illude, ma ne è ugualmente colpevole.

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