Commento

La statistica non dice tutto

Il salario mediano ticinese rimane sensibilmente più basso rispetto al resto della Svizzera

Ti-Press
15 maggio 2018
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A chi è chiamato a prendere decisioni di politica economica e sociale servono numeri chiari e dati certi. L’ammontare del prelievo fiscale, il livello degli investimenti pubblici e quello della spesa sociale o della distribuzione del reddito, per esempio, sono informazioni fondamentali per capire se le politiche messe in atto in passato stiano dando i risultati voluti o no. È quindi importantissimo, per permettere un dibattito pubblico democratico basato su fatti concreti, avere un elevato livello di accuratezza nella rilevazione di determinati fenomeni sociali.

Un caso che emerge con regolarità creando di fatto due partiti nell’opinione pubblica, è quello sul tasso di disoccupazione. Soprattutto in Ticino ci si divide tra i ‘sostenitori’ del tasso Seco e quelli del tasso Ilo. In realtà misurano tutti e due lo stesso fenomeno (la disoccupazione) partendo però da presupposti diversi: il primo tiene conto di coloro che sono iscritti a un ufficio di collocamento e percepiscono delle indennità di disoccupazione; il secondo allarga il sottoinsieme dei disoccupati anche a coloro che non sono tecnicamente disoccupati (studenti, pensionati, casalinghe e sottoccupati) e che sono disposti ad accettare un impiego nel giro di pochi giorni. Inutile aggiungere che il secondo indicatore, quello Ilo, ovvero stilato secondo i criteri dell’Organizzazione mondiale del lavoro, è sensibilmente più elevato del primo. Su quale sia il più accurato, è materia da specialisti, ma possiamo affermare con una certa ragionevolezza che se tutti e due i tassi vanno nella stessa direzione, allora un dato rafforza l’altro e tutti e due ci dicono che la situazione occupazionale sta tendenzialmente migliorando o peggiorando a seconda della direzione presa, appunto. Un messaggio che il tasso Ilo dà in più alla politica è quello relativo al malessere che può esserci sul mercato del lavoro. Se il numero dei sottoccupati cresce, pur non peggiorando il dato generale sull’occupazione di certo la società non sta meglio.

Un discorso analogo può essere fatto con la periodica analisi sulla distribuzione salariale a cura dell’Ufficio federale di statistica (Ust). Stando a questa rilevazione, nel 2016 il salario mediano per l’insieme dell’economia svizzera (settore pubblico e privato) era pari a 6’502 franchi lordi. Detto in altri termini, la metà delle retribuzioni era inferiore a questa cifra e l’altra metà la superava. Per quanto riguarda il Ticino, il salario mediano ammontava a 5’563 franchi sempre al lordo di imposte, contributi sociali e premi di cassa malati. Costo, quest’ultimo, che ipoteca ed erode sempre di più il reddito disponibile di moltissime famiglie svizzere. Quella per la sanità è diventata una vera e proria tassa regressiva che quando non è corretta adeguatamente da sussidi pubblici pesa molto di più sui redditi bassi. Il messaggio è stato colto da tempo dai decisori politici, ma non ha ancora portato a soluzioni tangibili. Anche la direzione presa dal salario mediano rispetto a un determinato periodo fornisce indicazioni sul miglioramento o no dello stato di salute delle finanze dei cittadini. Raffrontando i dati del 2016 con quelli del 2014 – i penultimi rilevati dall’Ust – si nota che un certo miglioramento c’è stato: 6’502 franchi contro 6’189. Un leggero trend positivo che è stato registrato anche a livello ticinese dove il salario mediano è passato da 5’125 (del 2014) a 5’503.

Rimane però costante il divario salariale che c’è tra il Ticino e il resto della Svizzera. Mille franchi mensili circa che non accennano a diminuire e che ci raccontano, tra le righe, di un’economia cantonale che fa storia a sé dal resto del Paese. E questo nonostante i proclami di performance economiche da tigre asiatica negli ultimi dieci anni.

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