Commento

Una sentenza che riguarda tutti

All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, viene pronunciata in Svizzera una sentenza che rafforza questa libertà.

5 maggio 2018
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All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, viene pronunciata in Svizzera una sentenza che rafforza questa libertà. È un verdetto scolpito nella pietra – inattaccabile, riteniamo – quello con cui ieri a Bellinzona il giudice della Pretura penale Siro Quadri ha assolto i quattro giornalisti del ‘Caffè’ denunciati dalla Clinica Sant’Anna, che considerava diffamatori i loro articoli nei quali sollevavano anche interrogativi sull’organizzazione interna e sull’agire della struttura sanitaria privata in relazione al caso Rey (l’amputazione, per errore, di entrambi i seni a una paziente). I colleghi hanno impugnato i decreti d’accusa firmati dal pp Antonio Perugini, che aveva dato seguito alla querela della clinica sottocenerina, e hanno ottenuto ragione.

La sentenza appena emessa non riguarda però solo la nostra categoria. Riguarda tutti i cittadini. Che in democrazia hanno il sacrosanto diritto di essere informati su tutto ciò che attiene a temi di interesse pubblico – e la sanità è uno di questi – affinché possano farsi un’opinione per poi dibattere e decidere con cognizione di causa. I mass media, dopo aver verificato la veridicità di quanto appreso, hanno allora il dovere di riferire, ponendo pure quesiti e continuando a porli sino a quando non avranno ricevuto una risposta. Eloquenti le parole del pretore: «In casi di interesse pubblico la stampa deve informare». Deve. La stampa come il cane da guardia: il cane da guardia della democrazia. L’immagine non è nuova, ma non accade spesso di sentire un giudice affermare che «è meglio accettare che un cane da guardia abbai per niente, piuttosto che non abbai affatto» e non avverta così del pericolo. Il recentissimo verdetto è importante anche in prospettiva, se pensiamo per esempio alla vicenda Argo 1, un dossier politicamente scottante, tuttora aperto. È grazie al salutare ‘accanimento’ giornalistico se l’opinione pubblica ha saputo di alcuni episodi istituzionalmente non edificanti.

La libertà dei media è sancita dalla Costituzione federale. Ma i tentativi dell’autorità e dei cosiddetti poteri forti di anestetizzare l’informazione quando va contro i rispettivi interessi sono presenti anche nelle democrazie avanzate. Per picconare la libertà di espressione non è necessario imprigionare i giornalisti scomodi, come avviene nelle dittature: basta minacciare denunce o infliggere sanzioni pecuniarie, anche se sospese condizionalmente. Denunce e multe per intimorire il cronista, perché desista dall’indagare, dall’approfondire. Con una conseguenza nefasta per l’intera collettività: l’autocensura.

Insomma, la libertà di stampa non è scontata neppure in una società liberale e democratica. Benissimo ha fatto quindi il giudice Quadri a confermare un principio costituzionale, applicandolo – con solide argomentazioni – a un caso concreto. La sua sentenza, inoltre, ridà vigore e credibilità al giornalismo d’inchiesta, documentato. E non è cosa da poco nell’era della comunicazione sovente non verificata dei social.
Il valore del giornalismo d’inchiesta ieri è stato riconosciuto.

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